Crisis management: regola numero uno comunicare. Subito, in prima linea. Con un piano a monte
23/01/2012
Indubbio che il tema è prepotentemente richiamato dal naufragio della Costa Concordia avvenuto nella notte di venerdì 13 gennaio di fronte all'isola del Giglio, ma l’intento è sicuramente di più ampia portata. Per questo, senza entrare nel merito di una vicenda ancora troppo viva e irrisolta per consentire analisi e giudizi, ci è sembrato utile capire come debba essere gestita la comunicazione nei momenti di crisi. Capita, infatti, che anche le aziende più responsabili per la natura stessa del settore in cui operano si trovino ad affrontare le conseguenze di incidenti spesso non a priori prevedibili, ma che impattano negativamente sull’immagine del loro brand, così come sul loro business. Ci aiutano a capire cosa e come fare Alessandro Paciello, partner Aida Partners Ogilvy PR, e Luca De Giovanni, partner Barabino & Partners.
Tutto parte a monte. Tanto più l’azienda in questione è abituata a comunicare, tanto meno complicato sarà riuscire a gestire la sua posizione in un contesto di crisi. Perché sa come funziona il rapporto con i media, perché ha una relazione consolidata con gli interlocutori stampa, perché non è impreparata di fronte alla necessità di render conto del suo operato anche al grande pubblico, in nome di una reputazione che gestisce, avendo allo scopo dedicato professionalità specifiche. Basilare è, dunque, non dover partire da zero.
Tanto più se la propria attività sfocia in settori a rischio, per definizione sensibili alle criticità. Dall’alimentare ai trasporti, per citare esempi concreti. Ma non solo, perché i problemi possono anche riguardare il management, lo sfruttamento del lavoro, le tematiche ambientali ed etiche, dunque comportamenti e visioni inerenti al senso più intimo attribuito al modo di fare ed essere impresa.
E’ necessario avere la disponibilità di un piano di gestione che contempli informazioni, interventi e interlocutori nelle diverse aree dove la crisi potrebbe insorgere così che il processo predefinito possa essere all’occorrenza tempestivamente attivato, addirittura nel giro di qualche ora, avendo già chiari i messaggi forti da trasferire (a priori avvallati dall’ufficio legale dell’azienda) e le persone delegate a parlare (le cosiddette spokeperson), cui preventivamente sarà stato fatto anche un training ad hoc su come gestire i media in situazioni di crisi.
A contare, infatti, non sono solo le parole, ma anche la concitazione, la postura, gli atteggiamenti. Senza dimenticare di prevedere procedure organizzative trasversali capaci di alimentare la comunicazione. Centralini in grado di dare informazioni e spiegazioni sul tema a chi le richiedesse, di raccontare cosa si intende fare per aiutare chiunque si sia trovato a diverso titolo coinvolto.
Non basta. Il piano di crisi va costantemente aggiornato con periodicità variabile a seconda dei settori di appartenenza dell'azienda e quindi dei livelli di potenziale pericolosità della sua attività caratteristica. Come detto, deve contenere tutte le principali azioni da attivare immediatamente per prendere il presidio della comunicazione. Il che significa sapere cosa dire all'opinione pubblica e a chiunque possa soffrire a causa della situazione creatasi, dal pubblico interno (dipendenti, collaboratori) alle comunità del territorio, consumatori, clienti. Deve anche contenere gli ‘stand by statements’, ossia i possibili molteplici scenari in cui una potenziale crisi potrebbe sfociare, in modo che chi dovrà gestire la comunicazione sia in grado di farlo avendo un riferimento precedentemente previsto come possibile.
Lo stesso vale per la preparazione a priori, a fronte di ogni stand by statement, delle possibili domande, con relative risposte. Anche quando mancano le informazioni, infatti, non è mai giustificato né il silenzio né il no comment. Va presa comunque una posizione. Ecco perché vanno preparate ‘a freddo’ le svariate situazioni, tenendo conto dell’eventualità dell’effetto panico sul managemet. Non a caso, i manager vanno costantemente formati, non basta farlo una tantum.
Uno degli errori più frequenti e più gravi è il ‘sottrarsi’ ai riflettori delegando i comunicatori. Sbagliatissimo. Deve avvenire esattamente il contrario, i comunicatori devono lavorare nell'ombra e il top management deve costantemente accentrare su di sé l'attenzione dei media, per non lasciare ad altri la gestione di una comunicazione che per senso di responsabilità deve rimanere saldamente nelle sue mani. Ribadiamo, affermare ‘non ho dichiarazioni da fare, c'è il nostro ufficio stampa che se ne occupa’ trasmetterebbe all'opinione pubblica senso di irresponsabilità, incapacità e improvvisazione. Ed è proprio quanto non deve passare.
Insomma, l’azienda deve metterci la faccia, deve essere sul posto, deve partecipare. Subito. Occorre agire nelle prime 4-5 ore dall’incidente (non a caso si parla di 'Golden Hour'). Non ci si può permettere di lasciare in mano la comunicazione e dunque la propria sorte nell’opinione collettiva ad altri. Ecco perché va tempestivamente convocato il comitato di crisi (già costituito a priori per ruoli e responsabilità).
Tutti devono sapere cosa fare, di cosa occuparsi e chi deve comunicare come comportarsi, cosa dire, a chi e come dirla. Perché, ripetiamo, più si lascia passare tempo, più si perde il proprio ruolo permettendo ad altri di gestire qualcosa che impatta sulla propria marca, sui propri prodotti, sulla propria reputazione, nei confronti del mercato e dei clienti. Ed è un valore costruito nel tempo con ingenti risorse e sforzi.
Gli americani sintetizzano i must nella regola delle tre R (Regret - Reason - Remedy), che in italiano suonano: solidarietà, ossia dimostrare di essere effettivamente coinvolti e vicini a chi subisce il problema; spiegare l’accaduto, o ipotesi su quanto successo nel caso in cui la situazione non sia lineare e chiara, anche ammissione di colpa nel caso (vedi strategia di gestione crisi di Ikea che a seguito della morte nel 1999 di un bambino che aveva ingoiato un suo giocattolo, acquistò pagine di quotidiani invitando gli eventuali possessori del gioco incriminato a sostituirlo presentandosi nei punti vendita per il rimborso), ma mai silenzio; soluzioni e interventi per risolvere i problemi.
Senza dimenticare il post crisi. Per i 6-12-18 mesi successivi, infatti, qualsiasi azione di comunicazione dovrà tenere a mente l’accaduto, strutturandosi di conseguenza. Il che non significa continuare a ricordare o sottolineare il fatto, ma certamente dimostrare che l’episodio, per quanto drammatico e doloroso, nasconde il risvolto positivo di aver fatto crescere l’azienda, aumentandone responsabilità, attenzione e sensibilità.
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