Agenda Digitale: tra il dire e il fare ci sono interessi di parte e ignoranza. E siamo in Lombardia
03/05/2011
Traducendosi il titolo nella confusione che, ad approfondire i temi di un’Italia che sulla rivoluzione digitale arranca, coglie ogni giudizio. Non a caso, pure dopo aver assistito ieri all’incontro ‘Risorgimento Digitale’ organizzato da Assolombarda per definire una sorta di stato dell’arte della situazione, tracciare un finale è tutt'altro che scontato. Soprattutto alla luce dell’intervento del ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta (ascoltalo al microfono di youmark) tutto teso a sottolineare quanto pragmaticamente sia possibile già fare (dalla firma digitale al wi-fi nelle scuole, dai certificati medici online alla ricetta digitale), senza che la questione investimenti e banda larga siano usati ad alibi per l'immobilismo. Il problema, invece, sono gli interessi di parte e la cultura.
Così abbiamo 10mila scuole d’Italia potenzialmente interconnesse seppur in quella rete non passa nulla, fatti salvi i dati delle supplenze. Piuttosto che la piattaforma gratuita ScuolaMia per erogare servizi digitali alle famiglie utilizzata solo da 3mila istituti. Staremo a vedere chi aderirà al wi-fi, per cui si stanziano 5 milioni di euro. Ancora, il piano straordinario di informatizzazione della giustizia, con un ritmo di attuazione di 20 tribunali a settimana, da metà maggio. Senza dimenticare l’inerzia delle aziende. La firma digitale è obbligatoria per legge, ma quante l’hanno? Sicuramente una minoranza. Concludendo con la resistenza all’introduzione dei certificati medici online, così come delle ricette.
Insomma, più che della necessità di mettere altra carne al fuoco, c’è quella di stanare rendite di posizione e protezionismi, richiedendo il compito la collaborazione di tutti. Politica, imprese (per le pmi - in Italia sono 4 milioni e mezzo - la digitalizzazione è basilare. Sinonimo di competitività, successo, crescita del fatturato, export), media, cittadini.
Per questo viene da chiedersi se parlare di Agenda Digitale, il progetto nato in modo trasversale tra manager, imprenditori, docenti e uomini di spettacolo per sensibilizzare la classe politica (l’11 maggio scade con scarsi risultati l’appello lanciato), sullo sviluppo tecnologico italiano (ascolta l’intervista a Stefano Quintarelli, suo promotore) abbia poi senso in un paese dove non si vogliono applicare nemmeno le riforme che esistono, nonostante siano a costo zero e in ottica win win per tutti i soggetti coinvolti.
Eppure è sotto gli occhi di tutti che il Pil italiano è fermo. E che, peggio, si è bloccata anche la produttività, da sempre nostro cavallo di battaglia, nonché sostegno per un paese che ‘è per vecchi’, per citare appropriatamente storpiato il titolo del film premio Oscar 2008 dei fratelli Coen.
Intanto le nazioni a più alto tasso di investimenti in innovazione digitale crescono, facendo aumentare il gap tra noi e loro. Al punto che non basta più inseguire. Dobbiamo ‘saltare’, trovare strade alternative. Smettere di lamentarci, rispondere velocemente, con urgenza, segnando priorità e riappropriandoci della cultura del fare. Il divario è già troppo ampio ed essere follower è un lusso che non possiamo più permetterci. Anche perché in Italia la metà della popolazione usa internet (19 milioni gli user Facebook) e la tecnologia è parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini, certamente più avanti del sistema.
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