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Marco Lombardi
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L'intervento di Marco Lombardi, presidente Y&R, all'incontro di Assolombarda

29/09/2010

Qui di seguito una sintesi dell'intervento che Marco Lombardi, presidente Y&R, tiene oggi in  Assolombarda nell'ambito della VIIIa giornata della comunicazione d’impresa (inserita nella Settimana della comunicazione Milano).

Una triste vera storia d’amore
E’ il titolo dell’ultimo libro di Gary Shteingart che prevede un futuro con le più superficiali odierne manifestazioni ado-lescenziali portate a regola di tutta la società: la vita diventa un unico concorso di popolarità, la bellezza e la gioventù sono premiate a un livello insano, le persone comunicano con tweet e sms anche se presenti nello stesso luogo.

E’ una metafora di quanto accade nelle relazioni d’amore in un triangolo imprenditore/comunicatore/mercato con la marca (al centro) vittima di maturi adolescenti, di incomprensioni, di furbetti sfruttamenti reciproci e, in definitiva, di miopie strategiche alla ricerca dell’inesistente trasformazione di un’inerte facile popolarità, di coups de théâtre, in oro per l’equity della marca; la pietra filosofale non c’è, nemmeno in comunicazione, neanche con l’ultimo nato on line. Siamo d’accordo tutti: l’imperativo è essere giovani in un mondo occidentale che invecchia biologicamente e moral-mente ma che tristezza e che danni nell’essere degli adolescenti in età matura!

Gli anni birboni
Dopo i seventies, gli eighties, i nineties, gli anni zero del XXI secolo sono stati battezzati i naughties, i “birichini disob-bedienti”, dall’autorevole rivista inglese Campaign. E di dispetti ne ha subiti molto il mondo attorno alla marca. Particolarmente da noi in Italia. 

Vediamoli in sintesi:

1) Dopo la dot.com bubble del 2000 (ricordiamolo: dot.com era diventata una parolaccia, come oggi subprime) chi avrebbe potuto immaginare 10 anni di rivoluzione digitale inarrestabile come un tornado? Imprenditori e consulenti fanno fatica a non esserne travolti, ancora intontiti dall’hang over televisivo dei due decenni prece-denti. Si va dall’estremo che ignora (almeno di fatto, mettendo sul tema scarse risorse di persone e di denaro) all’estremo geek, di chi subisce la fascinazione della tecnologia fine a se stessa non capendo che la vera rivolu-zione non è nella risorsa strumentale ma nell’atteggiamento di chi comunica: armonia di relazione, di engagement e rifiuto del vecchio modello interruption and repeat. 

2) Procurement (l’acquisto di risorse esterne al più basso costo possibile) è diventato termine di moda tanto quanto è stato equity riferito al brand. La realtà delle agenzie “a servizio parziale” aveva già scremato, giusta-mente, la rendita dei consulenti; il nuovo, continuo e crescente accanimento da parte dell’impresa distrugge il potenziale strategico e creativo e di fatto misconosce il ruolo che la creatività (rilevante, cioè con disciplina) ha nel branding. 20 anni di ricerche continue e in tutto il mondo (il Brand Asset Valuator di Y&R Brands) con-fermano la forza della differenziazione come il principale vettore nel costruire e mantenere la leadership di marca: vettore che si alimenta con la creatività d’impresa e di comunicazione, non con la popolarità o la repu-tazione (dove sembra spiaggiarsi la maggior parte dei branding). 

3) Le crisi e non solo “la crisi”: quanto è accaduto sul piano economico e finanziario (alla fine dei naughties) non è che parte e funzione di altri crolli a livello imprenditoriale, sociale, politico; dalla persona alle istituzioni. Per il mondo della marca un potente acceleratore del disfacimento delle relazioni triangolari imprendito-re/mercato/comunicatore. 

4) Creative-phobia. Come nelle patologie della persona, l’impresa non riesce ad amare la creatività. La riduce all’impotenza dando ingiunzioni paradossali al creativo o la svaluta rendendola oggetto commodity o frutto di casualità (la teorizzazione dell’ ”errore creativo”) in una ricerca continua di nuovi partner (dove il crowdsour-cing è l’epigone ignorante). 

5) Il crollo della Brand loyalty. Sempre il BAV ci dice come le crisi del ‘93 e del 2000 hanno accelerato la ca-duta di quell’asset che dà solidità alla brand image: la relazione marca/persona che diventa duratura, leale. Il 2008 non fa eccezione: vedremo con le prossime rilevazioni (febbraio 2011) l’entità del danno ulteriormente subito dal mondo della marca. Assistiamo passivi? No: l’andamento medio ha avuto e avrà importanti eccezioni; marche pragmatiche (nel ’93) e “rifugio” (nel 2000) hanno migliorato la loro brand loyalty, confermando quanto detto da Andy Grove (manager che ha portato al successo Intel): “Bad companies are destroyed by crisis; good companies survive them. Great companies are improved by them”.

Il principio dell’ascolto
In mezzo a queste tempeste la marca e il triangolo che la circonda (imprenditore/persona-mercato/comunicatore) non può che reagire sforzandosi di lavorare non più a breve termine, coltivando relazioni e non più solo transazioni: un new deal tra partner, di rispetto e ascolto reciproco (la cosiddetta listenomics di Garfeld);ormai,si ripete ovunque, pas-siamo da una push a una pull strategy con la marca che incontra e dialoga con la persona-cliente (un tempo considerata “stomaco” consumatore):altrettanto deve avvenire fra imprenditore e comunicatore-integrato. Come sarebbe possibile coltivare una life long relationship con il mercato da parte di un team che non abbia la stessa ricchezza ed efficacia?

 

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