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Provocazione: alzi la mano chi è contento che siano finiti i ricchi anni ‘80

14/04/2010

Non siamo impazziti. Semplicemente troviamo intrigante lo spunto di riflessione che il recente libro ‘La Strategia in Pubblicità’ a firma Marco Lombardi (è già al lavoro per pubblicare, sempre con Franco Angeli, il prossimo ‘La Creatività in Pubblicità’) stimola. Perché nel suo disquisire disegna un presupposto a dir poco inedito. A dispetto di chi piange per la crisi in atto, infatti, gli anni che stiamo vivendo rappresentano una seconda opportunità di giovinezza per la comunicazione. Perché dopo la ‘sbronza televisiva’ dei tempi tra l’85 e il ’90, la nostra era riporta dritti alla granularità dei media, così come era stata dal ’65 al ’70. 

Riassumendone i connotati in sette punti fondamentali. Intanto il modello, che è di engagement (non più interruzione e ripetizione), per ascoltare molti target (che certo non sono quell’indistinta massa ‘prigioniera’ e irrilevante cui eravamo abituati), costruendo una marca hard e soft, ‘totale’ (contrapposta alla visione affettiva, da ‘love story’). La concept chart prende il sopravvento (contro la supremazia del trattamento, dello storyboard), così come il primato della regia tv lascia posto al primato del team, in nome di claim mission (non più wrap-up) e, soprattutto, dell’idea (basta con la centralità della storia distesa su un racconto cinema) quale fulcro, luogo fisico della marca concettuale e formale, arrivando a brandizzare il brand. 

E qui torniamo alla nostra domanda di partenza. Se, infatti, tutto ciò è teoricamente vero, come la mettiamo con la concentrazione degli investimenti, che nel nostro paese, a torto o a ragione, continuano a sottolineare come a farla da padrona è sempre la tv? Lasciando a ognuno il compito di interrogarsi se, magari, non si tratti di disperata resistenza a un cambiamento che sul terreno lascia non poca ricchezza, almeno a giudicare dai livelli che i tempi d’oro ci avevano abituato a sperare come acquisiti per sempre. 

Al microfono di youmark Marco Lombardi, presidenteY&R Italia, al quale abbiamo anche chiesto di raccontarci le principali evidenze emerse dal lavoro svolto per monitorare la percezione del brand Italia nel mondo. E sembra ci sia poco di cui andare fieri.

 

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