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Una mappa delle strategie anticrisi
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Gfk Eurisko: domanda e offerta non si incontrano più. Colpa delle aziende

08/07/2009

Perché il consumatore è già avanti. E l’affermazione ha in sé la drammaticità di una situazione che tende a peggiorare. Infatti, se la velocità dell’evoluzione della domanda aumenta vertiginosamente, al punto da far prevedere da qui a 10 anni un altro mondo, con il consumatore sempre più esigente, a pretendere qualità, valori sovrastrutturali e prezzo, dall’altro c’è la finanza a farsi zavorra per le aziende, rendendole incapaci di investire in un pensiero che superi l’orizzonte della trimestrale di borsa e miopi nel capire il nuovo contesto sociale. Ma anche la nuova comunicazione. Con la multimedialità a farsi più parola che fatto, visto che le pianificazioni non sanno guardare oltre le logiche di sempre. Al microfono di youmark Remo Lucchi, ad Gfk Eurisko. 

Lo abbiamo incontrato ieri a Milano, in occasione del Seminario GfK Eurisko 'Road map della ripresa'. Un pomeriggio dedicato a uno sguardo sulla situazione, a quanto questa crisi ha comportato per l’Italia e per il mondo, e a quanto comporterà. Scoprendo, però, che con la crescente distonia tra domanda e offerta centra ben poco. Certo, il suo effetto ha creato ulteriori motivi di discontinuità, ma il divorzio tra consumatori e aziende era iniziato da tempo. Anzi, tra consumatori e offerta in generale, potendo allargare lo stato di crisi a quella politica, sindacale, religiosa, mediale. 

E il divario tende ad aumentare più che progressivamente, con la velocità dell’evoluzione della domanda a recuperare esponenzialmente terreno sulla lentezza, se non staticità, della risposta da parte dell’offerta. Che sul lato dei consumi deve puntare il dito contro la rigidità delle aziende. Meglio, contro la loro incapacità di prendere coscienza, di affrontare il cambiamento. Prima di tutto sociale. Con i successi delle realtà nate di recente a dimostrare quanto il modello non possa più essere la trimestrale di borsa, in cui la finanza ruba terreno all’investimento di lungo, alla ‘generosità’, alla creatività, ma l’orizzontalità, la certezza di un rapporto di parità con il consumatore, ormai partner di sviluppo. 

Al punto da pretendere la rinegoziazione del valore di consumo. Non ci sono più possesso e accumulo, quanto ritrovato piacere, di consumare e conservare. In una somma che riconosce valore al denaro (prezzo) e valore al dono, inteso come ‘generosità’ dell’offerta, arricchimento dei suoi contenuti. Non solo dichiarati, ma anche realizzati, indicando i modi per concretizzarli, in logica empowerment. Non a caso, si parla di marketing della progettazione. Di intelligenza di lungo, di sforzo strategico. Per rispondere in modo generoso e creativo a una domanda che non si accontenta più, che non pende acriticamente dalle proposte. 

La comunicazione, ovviamente, dovrebbe essere leva indispensabile al nuovo incontro
. Oggi, infatti, tagliare quell’investimento significa dimostrare disinteresse al consumatore, oppure fallimento. Ma anche farlo con i vecchi metodi è controproducente. Servono, infatti, contenuti, che non significa realismo depressivo, ma senso di responsabilità, condividendo. 

Anche perché, sul fronte della crisi, lo stato di emergenza pensato non esiste. Certo, né consumatori né manager (e il livello di fiducia nel futuro converge) si aspettano un 2009 in ripresa (per quella c’è da aspettare il 2011), ma nemmeno uno tsunami. A livello pratico, poi, le difficoltà erano già iniziate nel 2007, con l’aumento dei prezzi e le prime paure occupazionali. Tanto che oggi il posto di lavoro è la variabile più cruciale (allarmante la stima che vede la disoccupazione nel 2010 aumentare di oltre 1 punto percentuale), ricordando che si spendono sempre gli utili futuri, quelli che si pianifica si guadagneranno. 

E poi, da bandire è il comportamentismo, l’omologazione delle reazioni. Ognuno, infatti, risponde alle sollecitazioni in modo proprio. Al punto da poter identificare 4 nuovi target post crisi, sulla base degli effetti riscontrati sui loro comportamenti. Tra l’altro quattro gruppi quantitativamente rilevanti, valendo ognuno circa 5,5-6 milioni di individui, catalogati sulla base della loro propensione a innovazione-tradizione (ascissa della mappa) nonché a indipendenza-affidamento (ordinata). Emergono, così, le famglie innovative affluenti (con molte cose da fare e dire, eclettiche, con disponibilità di risorse autonome e alla ricerca di contenuti nel loro rapporto con i consumi); le aspirazionali opportunistiche (più emozionali, continuano a comprare di impulso, concentrate sulla qualità della vita, con voglia di affermazione, attente al prezzo per ciò che è commodity, che non dà auto rappresentazione); le tradizionali (continuano a programmare i loro consumi, nella crisi si tutelano affidandosi al parere di chi si fidano, preferiscono i canali tradizionali e le marche, fanno la spesa day by day per ridurre gli sprechi, puntando più sulla qualità che sulla quantità); infine, le concrete (logica di efficacia per ottenere massimo contenuto con il minimo sforzo, grande ricorso alla marca, ma allargando le ‘incluse’ non solo alle leader, ma a private label e new entry, attenzione al prezzo).

 

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