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Alessandro Beda, vicepresidente Sodalitas
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La Csr paga, al punto da diventare necessaria

18/07/2007

L’antefatto è americano. La riflessione italiana. Anche perché si tratta di un fiore all’occhiello tutto nostrano. In tema di Csr, infatti, siamo riusciti a imporci, rientrando nel podio delle riunioni di Bruxelles. Il tutto all’insegna di una svolta dal nome ‘sostenibilità’, con la prova tangibile che l’impegno nel sociale è anche per business.

I dati di partenza sono quelli dell’ultimo report americano Cone
(www.coneinc.com/content76.html). Dimostrano che le scelte d’acquisto risentono della valutazione data al modo in cui le aziende portano avanti il loro business, con l’impegno nel sociale quale cartina tornasole. 

A dirlo sono ben i 2/3 degli americani. Oltretutto, la Csr diventa anche elemento per decidere la realtà in cui collaborare e di consenso comunitario-territoriale. Insomma, è indubbia l’evoluzione della consapevolezza raggiunta in tema di interazione tra business e società. Per quanto riguarda i modi della sua comunicazione, poi, ben il 45% preferisce l’advertising e il 41% internet, premiato per l’interazione e l’opportunità di dialogo con le aziende, sino al coinvolgimento nella realizzazione dei progetti pianificati. 

‘Sugli scaffali’, comunque, è il passaparola la forma che garantisce maggiore presa. L’aspetto emozionale, infatti, sa convincere sino a indirizzare gli stessi acquisti. Al punto che il ‘virale’ diventa canale privilegiato, grazie alla capacità di generare spontanee azioni di divulgazione. Infine, gli ambiti dell’impegno. Ben l’80% degli americani si espone a favore della salute, immediatamente seguita dallo sviluppo sociale, educativo ed economico, 77%.

E l’Italia? Innanzitutto un plauso. Come spiega a youmark Alessandro Beda, vicepresidente Sodalitas (http://www.sodalitas.it/ ), in dieci anni di attività la sua associazione è riuscita a farci accomodare tra quelli che contano a livello europeo: “Csr Europe (http://www.csreurope.org/) ha 27 referenti, dislocati nei diversi Paesi. Tutti ispirati all’inglese Business in Community (http://www.bitc.org.uk/#story1 ), con oltre 25 anni di vita e ben 250 collaboratori interni, tra cui spicca il principe Carlo, presidente. Inizialmente alle riunioni di Bruxelles eravamo inconsistenti, oggi figuriamo tra le voci di maggior peso. Pensare che quando iniziammo a presentarci alle aziende, in molti non riuscivano nemmeno a capire di cosa stessimo parlando”.

A livello intuitivo è immediato capire che moralmente l’impegno nel sociale paga. Meno se in gioco c’è il business. Ci svela l’arcano?
“Le aziende oggi hanno a che fare con una molteplicità di stakeholders, consumatori, dipendenti, azionisti, mercato creditizio, media, pubbliche amministrazioni, e sono sempre più alla mercè del loro giudizio. Creare consenso significa vantaggio competitivo. Certo che nel breve è chi si rivolge al consumatore finale a beneficiarne maggiormente, ma nel lungo anche nel business to business i vantaggi non tardano a farsi sentire. Pensiamo al clima aziendale, alla motivazione del personale, ma anche ai rapporti privilegiati con il sistema bancario, che dà più fiducia alle realtà impegnate nel sociale”.

Le imprese italiane vi seguono?
“Per le realtà di grandi dimensioni si tratta di un percorso metabolizzato, assorbito. Anche perché tendono a ragionare in un’ottica di lungo. Il problema è che nel nostro Paese ce ne sono poche, il 96%, infatti, sono aziende di piccole o medie dimensioni, spesso concentrate nel breve, brevissimo termine. Il lavoro da fare è ancora molto”.

La comunicazione della Csr resta un tema dibattuto. Il rischio è di sfruttare troppo il ‘presunto bene’ a scopi promozionali, rendendo il consumatore addirittura scettico. Qual è la vostra opinione?
"Per poter dire bisogna fare. Ed è già una garanzia. A volte arrivano da noi aziende che vogliono redigere il proprio bilancio sociale senza aver fatto nulla di sociale da rendicontare. Impossibile. La comunicazione, comunque, è parte integrante della Csr, anche perché genera meccanismi virtuosi ed autoalimentanti di emulazione. Il rischio di trasformare il sociale in leva strumentale c’è, ma è altrettanto vero che se prometti devi poi fare, pena la perdita di credibilità”.

La comunicazione della Csr necessita di linguaggi particolari?
“Più che altro necessita di specializzazione e conoscenza. Esistono partnership che non funzionano. Ad esempio, quella tra l’industria alimentare e la fame nel mondo. E’ dimostrato che una simile sponsorizzazione crea complessi di colpa nei consumatori, con ripercussioni negative sulle vendite”.

Qual è il trend della responsabilità?
“Siamo di fronte a un svolta, con l’entrata prepotente nella Csr della sostenibilità. Non a caso Sodalitas, con l’inizio di ottobre, lancerà un nuovo forum permanente sul tema, sostenuto da dieci realtà aziendali, specialmente attive nei settori energia e informatica, i più avanzati in merito".

Ma cos’è esattamente la sostenibilità?
“E’ un '+' e tre '-'. Più redditività e meno materie prime, scorie, energia”.

 

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