Virali: un boom che sembra non finire
05/11/2008
Per engagement o per sfruttarne l’esponenziale propagazione. Per i minori costi o per la soddisfazione in termini di risultati. Insomma, seppur con differenti argomentazioni i virali sono entrati prepotentemente nelle discussioni in tema di media mix, complice l’eco di operazioni come ‘Backflip Into Jeans’ di Levi's, o ‘Ball Girl’ di Gatorade, o ancora ‘Kobe Jumps Over Car’ di Nike. Una recente ricerca online a firma Feed Company ha acceso i riflettori sul fenomeno, interrogando quaranta executive delle più grandi agenzie e dei più importanti centri media degli Usa.
Partiamo dal dato che maggiormente sintetizza il rinnovato credo nel virale. La maggior parte (70%) delle realtà intervistate ha dichiarato di voler aumentare gli investimenti nei virali nel 2009, nonostante la generale contrazione dei budget. Perché ormai questo strumento è entrato a far parte delle strategie di marketing mix delle aziende, nonostante sia ancora vissuto come supporto a campagne stampa, tv o radio.
In ogni caso, il virale non è monopolio solo delle marche più innovative. A sorpresa, infatti, sono in molti ad averne realizzato uno, con il fronte delle agenzie a mostrare un 30, 2% di chi nel 2008 ne conta al massimo due, fino ad arrivare al 25% di quelle che nei soli primi otto mesi dell’anno erano già arrivate a 11. A fronte del 48,8% dei loro clienti dichiaratisi interessati. Con il 23,3% addirittura molto.
Anche i risultati raggiunti sono soddisfacenti (56%) ed è solo un esiguo 3% che dissente. Il problema, però, è il benchmark, che ancora manca. Tanto che aleatorio diventa il termine di paragone per decretare il successo. C’è chi (27,8%) punta a farsi vedere almeno 1 milione di volte, così come chi (22,2%) si accontenta di 100.000, 250.000, 500.000, riservando a tali numeri un giudizio comunque positivo.
Tutti (95%), poi, concordano sulla necessità di definire condivisi strumenti di misurazione dell’efficacia. Seppur le idee qualitativamente restano abbastanza chiare. Il 92,3% dice che il beneficio maggiore sta nella facoltà di creare una esponenziale propagazione del messaggio. Con l’87,2% a puntare molto sul valore dell’engagement. Mentre il minor costo delle produzioni viene chiamato in causa solo dal 18,4%.
Sette agenzie su dieci, infine, ritengono che oggi il virale non sia ancora considerata una pratica standard, con i 35,8% che crede lo diventerà al massimo nel giro di un anno. Un terzo, invece, traccia archi temporali più ampi, due o tre anni, contro il 23% di quelle agenzie che pensano non lo potrà mai essere.
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