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Femminili, se Condè Nast ha ragione, le altre non pianificatele

10/10/2008

Ovviamente una provocazione. Ma la ricerca, a firma People con coordinamento e modelling Deepblue, presentata ieri a Milano dalla casa editrice, in effetti dichiara nero su bianco il grado di efficacia della pubblicità sui femminili, con conclusioni poco entusiasmanti. Almeno per i più. L’engagement, infatti, non basta. Determinante è poi l’azione. Quella d’acquisto, s’intende. Indagata attraverso tre aree: attenzionalità, ricerca di informazioni, shopping. E a vincere sono 'Vanity Fair', 'Vogue' e 'Glamour'. Con ‘l’aggravante’ che questa volta si fanno anche i nomi espliciti dei concorrenti. 

Le indagini che l’hanno preceduta non avevano osato tanto. Ma essendo dal 2004 che il fenomeno dell’engagement cerca di essere sviscerato, in quanto motivo primo del modo più contemporaneo di ragionare gli investimenti pubblicitari, l’evoluzione 2008 ha voluto rompere qualsiasi tabù, giocando a carte scoperte. 

Così lo ‘sgangherato’ (ci si aspetta che i periodici perdano a fine 2008 l’8,3% -  fonte Upa) mondo dei femminili viene spogliato dei suoi segreti, affondando la lama di una crisi che nei numeri ha poche armi di difesa, nella necessità di puntare su  innovazione e contenuti per fare breccia. Non a caso, soprattutto, oggi vale l'engagement, il potere di legare a doppio filo le lettrici, tante o poche che siano, sino a influire vicendevolmente, lettrice e testata, sulle reciproche sorti. 

Insomma, la capacità di ‘ingaggiarle’ diventa condizione sine qua non per ottenerne la fiducia e dunque per passare alla fase che più conta, quella dell’acquisto, spinto dal valore che le stesse di conseguenza attribuiscono pure all’ advertising lì proposto.


 

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