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Pietro Greppi: creativi, schiena dritta in nome dell’etica

15/07/2008

E si tratta di un invito. Ai creativi, in primo luogo. Estendendosi però poi a tutti. Perché discutere di pubblicità etica, o meglio di etica della pubblicità, significa in primo luogo credere nel potere della comunicazione. Che assieme a scuola e famiglia è uno dei canali per diffondere modelli, di comportamento, di pensiero e di acquisto. Ma anche nel fatto che l’adv segna il confine tra politica e mercato. Con i creativi sempre meno liberi, meno capaci di dire no a manager su cui Pietro Greppi, intervistato da youmark, avrebbe più di una cosa da dire. Perché Waterloo non è una vittoria. Semplicemente  l'emblema di uno stato di fatto.

Seppur partiti con tutto l’atteggiamento critico del caso, non possiamo negare che dopo questa chiacchierata con Pietro Greppi (consigliere Tp e Fondazione Pubblicità progresso, membro commissione di studio Iap, fondatore del giornale Scarp de tennis, nel 1996 ceduto a Caritas) qualche cosa dentro si è mosso. Forse perché è un periodo in cui la cronaca porta alla ribalta avvenimenti così amari. In cui frame di mondo ‘patinato’ si mescolano alla normalità di vite ‘ordinarie’ in un mix addirittura letale. Inseguendo quanto questa era non lascia solo sognare, promettendolo facile, immediato, alla portata di tutti. 

E non si tratta di moralismo o di esagerata generalizzazione, quanto di un pretesto di riflessione, naturale per chi almeno di tanto in tanto ama interrogarsi sul senso più profondo del proprio lavoro. Magari provando pure a capire se, forse, anche le regole del business finiscono per premiare chi crede nella responsabilità di guardare profondo e lontano.

 

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