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Elisabetta Casini, responsabile Business Science MediaCom
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La semiotica secondo MediaCom

16/01/2008

Di sicuro tutti ne abbiamo già sentito parlare. Ma non sempre è immediatamente percepibile la portata dell’applicazione della semiotica. Nel senso che difficilmente si riescono a intuire gli ambiti della sua applicazione. Specie quando in gioco c’è l’efficacia della comunicazione pubblicitaria, dunque la rese dell’investimento in adv. Ce ne parla Elisabetta Casini, responsabile Business Science MediaCom Italia. 

“La semiotica - spiega - è la disciplina che studia i segni ed il loro significato, e la sua applicazione al mondo della comunicazione non rappresenta una novità, anche se è uno strumento ancora poco utilizzato da agenzie ed aziende. Ogni comunicato pubblicitario contiene al proprio interno un messaggio che può avere nature diverse - informativo, persuasivo, emozionale - e viene costruito attraverso una serie di elementi che devono attirare la nostra attenzione in maniera coerente tra loro e con il prodotto o servizio che comunicano. La semiotica ci fornisce alcuni strumenti per ‘sezionare’ il comunicato, analizzarne la struttura, i contenuti e il loro significato, capirne punti di forza e di debolezza e quindi il suo potenziale d’impatto”.

Spesso, avendo a che fare con professori, studiosi o ‘cattedratici’, la difficoltà è tradurre operativamente il loro linguaggio. Come si riesce a conciliare due mondi così distanti, come quello della teoria e del business, nell’ottica di un migliore servizio al cliente?
“La semiotica in quanto disciplina insegnata nelle università è qualcosa che, anche se non così facilmente, può venire appresa ed applicata anche da persone opportunamente formate e preparate. E’ sicuramente una specializzazione nell’area della comunicazione e non qualcosa da improvvisare. All’interno di MediaCom abbiamo una persona con una buona formazione su questo tema e che quindi ci permette di offrire anche questo servizio, ad integrazione di quanto già svolto per i nostri clienti”.

Sì, ma come?
“Abbiamo sviluppato alcuni schemi di riferimento per le analisi, che vengono applicati di volta in volta e permettono di produrre un output tutto sommato leggibile e comprensibile anche da parte dei non addetti ai lavori. Inoltre, illustrare la metodologia e il percorso svolto durante l’analisi e i particolari tecnici può essere interessante per i clienti, ma pensiamo che il risultato dell’analisi sia quello che ci chiedono, in forma semplice, leggibile e soprattutto concretamente applicabile”.

La semiotica rappresenta, dunque, la via attraverso cui il centro media entra nella discussione strategica a monte della campagna?
"Dipende dal centro media. Noi preferiamo posizionarci non come tale ma come agenzia di comunicazione, costruendo il percorso strategico per e a fianco del cliente e di tutti gli attori della comunicazione coinvolti. Quando questo posizionamento viene percepito, MediaCom non ‘subisce’ passivamente il media brief ma, a fronte di determinati obiettivi di business e di comunicazione, ricerca opportunità e offre soluzioni efficaci ed efficienti, oltre che innovative, per il loro raggiungimento. L’analisi semiotica rappresenta un servizio addizionale che siamo in grado di fornire ai nostri clienti e integrativo rispetto a quanto abbiamo svolto finora. Quindi, più che permetterci di entrare nella discussione strategica a monte della campagna, ci offre nuove ulteriori competenze per supportare al meglio le decisioni del cliente durante il processo".

Ci puoi raccontare degli esempi di applicazione della semiotica e i loro risultati?
“L’applicazione di questa metodologia ha l’obiettivo di mettere in evidenza quanto funziona e quanto non funziona all’interno di un comunicato. Può essere svolta sia in fase pre campagna, come test sul copy, addirittura sullo storyboard, o in fase post. In questo secondo caso abbiamo la possibilità di un riscontro con i risultati in termini di ricordo, o vendite, o chiamate ai call center, ossia tutto quanto è direttamente misurabile a fronte della comunicazione on air. In questo caso, particolarmente interessante è l’identificazione di caratteristiche comuni vincenti , e perdenti, di diversi copy e loro risultati, per poter applicare quanto emerso dalle analisi alle comunicazioni future". 

Quindi anche analisi di un gruppo di campagne?
"Certamente sì. Oltre ad analisi di copy singoli, stiamo oggi lavorando su alcuni progetti di analisi di ‘batterie di comunicati’, proprio con l’obiettivo di trarre delle linee guida relate al prodotto, categoria ed obiettivo della comunicazione. Il risultato sarà, appunto, la definizione di linee guida utili per la messa a punto di un format creativo vincente. Nell’ottica di un progetto di comunicazione integrata la semiotica rende possibile stabilire se i segni del brand vengano espressi e trasmessi nei comunicati singoli, in modo da capire se vengono sfruttati a pieno i potenziali di brand equity o viceversa, a seconda delle necessità strategiche. Un riposizionamento, ad esempio”.

Aziende ed agenzie accettano questo approccio, quali le eventuali obiezioni e di chi le maggiori?
“L’obiettivo di questo tipo di analisi non è quello di demolire le creatività, ma anzi quello di fornire strumenti di lettura che possano renderle ancora più efficaci. Ci è capitato di accennare, senza proporre, questo servizio a clienti, che subito ci hanno chiesto un approfondimento e l’analisi delle proprie campagne. La proposta viene fatta a clienti che desiderano un’analisi di creatività sulla cui efficacia nutrono dubbi, magari campagne ideate e prodotte all’estero che non sempre rispecchiano la realtà del nostro paese, oppure sulla cui efficacia sono talmente convinti che vogliono replicarne il successo. Con questo approccio, finora, non abbiamo incontrato obiezioni e ci auguriamo che tale servizio venga letto anche dalle agenzie come un supporto alle decisioni del cliente e del team di comunicazione, più che un’analisi critica del lavoro di altri”.

 

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