Accordo adv in radio, c’è chi dice no
06/12/2007
La radio oggi non può rischiare di perdere credibilità. Ma di contro, è anche vero che gli ascolti già esprimono la qualità delle emittenti. Ecco perché c’è anche chi difende a spada tratta la libertà dei propri palinsesti, così come a youmark spiega Stefano Mignanego, direttore centrale relazioni esterne Gruppo Espresso. Al punto che per il 70% che applaude, il restante 30% dissente. Viaggio alla scoperta di contenuti e modi dell’accordo siglato tra emittenti Upa e AssoComunicazione sulla qualità della pubblicità in radio. Che invoca qualità al posto di quantità, non disdegnando un eventuale conseguente aumento dei prezzi, come suggerito da Alberto Roselli, direttore commerciale Radio Kiss Kiss, certo di interpretare anche l’opinione dei suoi inserzionisti.
La pubblicità radiofonica piace. Perché la radio riesce a segmentare e perché può essere complementare agli altri mezzi di comunicazione, soddisfacendo la nuova esigenza di multimedialità. Il comparto oggi vale 600 milioni di investimenti, prevedendo circa un +7% per fine 2008, secondo solo a internet. Normale essersi accorti della necessità di tutelarne la qualità. Dopo un anno di lavori, Upa, AssoComunicazione e la maggior parte del mercato degli ascolti radiofonici, per l’esattezza il 70%, ossia Radio Rai, Rtl 102,5, Rds Radio Dimensione Suono, Radio R 101, Radio 24 Il Sole 24Ore, Radio Kiss Kiss, Radio Italia Solo Musica Italiana e le loro rispettive concessionarie, hanno presentato ieri a Milano gli estremi dell’accordo per garantire qualità alla pubblicità trasmessa, nell’interesse di tutti.
Le regole più salienti riguardano la certificazione della messa in onda delle campagne e l’affollamento.
Segnale evidente di come oggi la buona comunicazione non sia rumore, ma impatto mirato, intendendo dunque agire su uno dei primi presupposti di efficacia, l’opportunità di essere ascoltata, notata, di emergere.
Così che, dal primo gennaio 2008, data dell’entrata in vigore dell’accordo, gli spot non dovranno occupare più di 10,8 minuti per ora, ossia il 18%, tollerando uno sforamento nei limiti del 2%, sempre che nell’ora successiva o antecedente si provveda di conseguenza, riequilibrando la situazione. Nulla di nuovo rispetto alla normativa già vigente, se non per la volontà di far rispettare il parametro, anche grazie a un’azione di controllo e sanzione, pari circa al 25% del valore dell’annuncio inserito a frode, che viene recuperato dalla stessa azienda. Un onere a carico dell’emittente radiofonica, quale riferimento per la connessa certificazione della messa in onda. Un’attività che spetterà a soggetti definiti, tra cui Nielsen, il cui elenco completo verrà fornito al più presto.
Ogni break pubblicitario, poi, potrà contenere al massimo 12 messaggi, che per le emittenti pubbliche scendono a 10. Auspicabile l’assenza di ‘comunicazioni concorrenti’ nello stesso blocco e, ove non fosse possibile, viene vincolata la loro emissione. Nel caso dei 10 spot, i concorrenti non potranno più essere consecutivi, mentre se 12, dovranno essere separati da almeno due comunicati di natura diversa. L’accordo si riferisce ai messaggi pubblicitari commerciali in senso stretto, sfuggendo a conteggi e controlli le campagne sociali, quelle elettorali, spot di informazione cinematografica, di invito alla lettura, ma anche i promo, la pubblicità di prodotti collegati agli stessi programmi dell’emittente.
Per questo creano domande gli attuali ‘no’ del Gruppo Espresso, che con Deejay, Capital e m2o, è a dir poco significativo. Non a caso, assieme a Finelco (105, Rmc e Virgin Radio), dissidente numero due, vale il 30% degli ascolti totali. Stefano Mignanego, parla di invadenza sui palinsesti, così determinanti per le realtà del suo gruppo, essendo radio a programma, che ne verrebbero penalizzate. Pur aprendo a possibilità di intesa futura per il bene dell’intero comparto, infatti, ribadisce di non poter accettare un’ingerenza di questo tipo. Sarebbe come imporre ai giornali dove inserire le pagine pubblicitarie.
Ai centri media, comunque, l’accordo piace. Almeno questo è il parere di Eugenio Bona, presidente e amministratore delegato Media Italia. Anche per il suo significato simbolico, a testimoniare la conquista della dignità media di questo mezzo. Al punto che agenzie e centri media si impegneranno per far rientrare nell’accordo anche gli attuali esclusi.
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