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Si fa presto a dire ‘nuova tv’

28/11/2007

Che calderone. Tutto sotto il grande nome di ‘rivoluzione digitale’. Parliamo di tv. Sicuramente molto sta cambiando, ma non è ancora chiaro come. Anche perché se si trattasse solo della possibilità di differire a proprio piacimento i tempi della fruizione sarebbe poco. Fondamentale, allora, è rimettere la tecnologia al suo posto per concentrarsi sui contenuti. Scoprendo che, a proposito, le idee chiare languono. Di sicuro si va verso una nuova era, ma il come è ancora tabù. Insomma, stiamo vivendo il momento più complesso della storia dei media. Come a ragione ci spiega Giorgio Simonelli, docente di giornalismo televisivo e di storia della radio e della tv all’Università Cattolica di Milano, nel suo intervento al convegno Millecanali di ieri.

Da una parte il lessico che incalza, a dimostrare l’ineluttabilità di una metamorfosi imminente. Dalle tv di flusso a quella on demand. Attraverso l’offerta di contenuti generati da broadcaster e portali web, o dai cosidetti user generated content, con YouTube a spopolare. Ma anche l’Iptv che, così come altrettanto fanno web tv e net tv, può finalmente contare sul sostegno di tecnologie e mercati di nicchia. Dall’altra un dato di fatto. La tv per sua natura è ‘passiva’, da poltrona, a 3 metri e mezzo di distanza dal video, con un telecomando in mano. 

Le cose si complicano perché a incalzare è lo spettatore. Intraprendente. Attivo. Individualista. Scettico nei confronti della vecchia tv, che guarda ma a cui non crede. Uno scenario, dunque, che apre ampiamente le porte al nuovo. Ma, al contrario delle aspettative, se si va a ben guardare, di innovativo c’è gran poco. Almeno sotto l’aspetto che conta, quello dei contenuti. L’Iptv, infatti, mostra un quadro non così diverso dalla tradizionale. Sport, film, fiction. Senza considerare la rigidità di questi contesti, tutto meno che interattivi. Così come il loro valore empatico male coniuga lo scetticismo dimostrato da chi sta davanti alla tv. Che ha solo la possibilità di intervenire nel palinsesto, decidendo di differire la visione di programmi, senza interazione alcuna con i ‘testi’.

Le cose si complicano ulteriormente se dall’Iptv ci spostiamo alla Mobile tv. Pur non essendo ancora riuscita a soddisfarle, la prima cavalca nella direzione corretta, quella in sintonia con le esigenze esposte dal pubblico. La seconda, invece, cambia le carte in tavola e punta a sfruttare il tempo interstiziale, nella definizione di un rapporto ‘mordi e fuggi’ con il telespettatore, che la vede costretta volontariamente a uscire.

Il che fa venire in mente il passato. Quando negli anni ’60 in Italia si passò dall’ascolto della radio in casa a quello fuori casa. Ma per la radio d’allora si trattò di un’esigenza. Sfrattata dalla tv, infatti, fu costretta a occupare luoghi periferici.
Oggi non è così. Di più, la tv mobile pretenderebbe addirittura di utilizzare gli stessi contenuti di quella più comoda da divano. Ma dove sta il suo plus?

Infine, non regge nemmeno il paragone con la metamorfosi del sistema negli anni ’80, da monopolista pubblico a commerciale, da molti sostenuto in nome del proliferare dell’offerta. Ma la realtà è che non ci si rende conto dell’abissale differenza tra le due evoluzioni. Con quella attuale a definire una complessità prima sconosciuta.

Perché l’atmosfera era diversa. Perché si trattò di un fenomeno provinciale, di un pubblico più maturo. Una ‘rivoluzione’ a basso contenuto tecnologico, che al massimo impegnò l’utente all’intervento di un antennista. Più popolare che colta. Più residuale che innovativa, con i contenuti ormai finiti in magazzino a completare i palinsesti delle nuove tv locali.

Quella attuale, invece, è metropolitana, trainata dai giovani, intrisa di tecnologia. Avveniristica più che residuale. Colta più che popolare. In due parole, più difficile. Perché deve puntare sui contenuti, non solo sulle tecnologie.

 

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