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Dalla parte del ‘placement’

21/11/2007

A un giovane su due il product placement piace più della pubblicità tradizionale. Se non altro perché ne condivide il fine, aiutando anche a fare film di qualità, o a rendere più realistiche le sceneggiature. Tutti, poi, non transigono sull'etica. Al punto da escludere a priori sigarette, alcool e armi. Anche perché i brand presenti difficilmente passano inosservati. Lo dice, insieme a molto altro ancora, il primo studio ‘made in Italy’ sul tema.

E’ la prima ricerca empirica tutta italiana a occuparsi di product placement. Realizzata nel 2006, con interviste a 571 studenti universitari, porta la firma di Roberto Paolo Nelli e Paola Bensi, entrambi docenti di marketing all’Università Cattolica, rispettivamente nelle sedi di Piacenza e Cremona. Infatti, nel nostro paese ancora scarsa è la letteratura in tema, tanto che il libro, dalla coppia scritto, ‘Il product placement nelle strategie di convergenza della marca nel settore dell’intrattenimento’, edito da Vita e Pensiero, casa editrice dell’Università medesima, e fresco di stampa, aiuta la comprensione di un settore portato in auge dalle necessità di ripensare in modo unconventional ai media di sempre. 

Anche se da noi la legge Urbani del 2004 ha più propriamente legittimato quello cinematografico. Permanendo un certo margine interpretativo relativamente al televisivo, dove la logica dell’eventuale sponsorizzazione dei programmi sembra essere quella maggiormente accettata, sempre che riconoscibile per il telespettatore.
E l’argomento è più che pertinente. Perché, guardando alle rilevazioni periodiche condotte da PQ Media, tra le tipologie di 'paid product placement' quello televisivo vale ben il 71,4 % degli investimenti, a quota 2,40 miliardi di dollari con un tasso di crescita nel 2007 pari al 34%, distanziando notevolmente il secondo posto del cinema, che si ferma leggermente sotto il miliardo di dollari, valendo il 26,5%, con una crescita attesa nell’ordine del 20%, e i cosidetti ‘altri mezzi’, per lo più videogiochi e internet, che riescono ad attrarre solo il 2,1% delle preferenze. Ma facciamo un passo indietro.

Per collocare il fenomeno nella giusta prospettiva, infatti, è altrettanto utile definirne lo scenario di riferimento. Sempre stando a dati PQ media, gli alternative media valgono oggi 115,77 miliardi di euro, con il branded entertainment marketing ad accaparrarsene 51,62 e il product placement 7,76, di cui però solo 3,36 sono propriamente ‘paid’, riguardando gli altri altre forme di ‘partecipazione’, perlopiù grazie alla fornitura di prodotti, servizi o location gratuiti in cambio di visibilità.
La previsione di chiusura 2007 parla di un incremento nell’ordine del 37,2%, portando il paid product placement a quota 4,38 miliardi.

Come già detto, è quello televisivo a fare da padrone. Ma non solo. A livello internazionale i primi cinque paesi assorbono ben il 90,5% del valore dell’intero mercato, con gli Stati Uniti a primeggiare forti del 68% degli investimenti, seguiti in ambito televisivo da Brasile, Canada, Australia, India. Mentre in riferimento al cinema è l’Italia a farsi onore, essendo seconda solo alla Cina.

Ma veniamo allo studio ‘made in Italy’. Innanzitutto perché i giovani? Perché è a loro che si rivolgono la maggior parte delle produzioni hollywoodiane, ma anche perché sono il target più  propenso a farsi influenzare da questo tipo di comunicazione in sede di scelte d'acquisto. E qui si potrebbe aprire una parentesi sull'opinabilità di tali azioni, ma non rientra nel nostro intento.

Tornando alla ricerca, dunque, ai nostri giovani il product placement non dispiace. Fatta eccezione per un esiguo 3,7% dichiaratosi assolutamente contrario, il 34,1% è indifferente, con i restanti favorevoli (35%), se non decisamente favorevoli (9,8%). Addirittura il 49,3% lo preferisce alla pubblicità tradizionale.

Chiamati a esprimersi sul ricordo di marche nei film, l’88% annuisce, con il 70,6 capace di citare anche alcuni nomi. Tra cui più spesso Mini Cooper Bmw, Prada, Vodafone, Audi, Chanel, Nike, FedEx, Gucci, Tim e Nokia. Rispetto ai contenuti, dopo i film, che peraltro sortiscono più effetto in chi è andato al cinema almeno una volta nell’ultimo mese o ha guardato un dvd a casa nell’ultima settimana, vengono citati i telefilm (61,3%) , le serie televisive (60,4%), canzoni e video musicali (56,6%), libri (33%), videogiochi (24,7%), giochi su internet (11%), cartoni animati (7,4). Trattandosi questi ultimi di contenuti che per etica non si prestano al product placement, tanto che il ricordo ha fatto riferimento erroneo a una marca di birra di invenzione, la Duff dei The Simpson. Tra i telefilm più citati 'OC', 'Sex in The City', 'Friends', 'Distretto di Polizia'. Tra le serie Tv: 'Il Grande Fratello', 'Amici', 'Cento Vetrine', 'L'Isola dei Famosi'.

Se il fine commerciale è dai più citato come scopo preminente, altrettanto indicativa è l’opinione di chi intravede l’opportunità per finanziare film di qualità o l’occasione per rendere più realistiche le sceneggiature o per fornire informazioni utili sull’uso del prodotto. Entrando nel merito dei settori, invece, la graduatoria di accettabilità mette al primo posto auto e moto, seguite da articoli sportivi, abbigliamento e accessori, computer, telefonia, Hi-Fi. Banditi sigarette, bevande alcoliche e armi. In nome dell'etica.

 

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