Se per una ricerca Ibm il futuro è digital. Non lo è per gli ad quello di mkt e comunicazione
25/02/2011
Almeno per Bernasconi, ad Mediamarket, Gino Lugli, ad Ferrero, Francesco Pugliese, dg Conad e Alberto Cuccaroni, dg Euronics, intervenuti ieri a Segrate all’incontro promosso da Ibm per presentare i dati della nuova ricerca ‘Smarter Consumer’, firmata dal suo Institute for Business Value per indagare le abitudini del consumatore dell’era digitale. E non tanto nel senso di negare l’esistenza di tale rivoluzione, quanto nel volerla delineare nelle conseguenze del suo impatto sul business, denunciando pure la non misurabilità in termini di efficacia delle azioni in rete intraprese. Al punto da continuare a preferire il classico advertising, oltretutto estremamente più facile da utilizzare (nonostante la tv tematica abbia aumentato la complessità).
Insomma, pur ammettendo il merito di internet in seno alla trasparenza delle relazioni, si denuncia come la conseguente ipersegmentazione abbia reso impraticabile la logica del target, portando i brand a concentrarsi nuovamente sui prodotti. E a chi lamenta la scarsa propensione delle marche alla sperimentazione, la risposta si fa domanda. Perché si dovrebbe investire in ciò che interessa solo pochi?
Pure quando il business in rete ha raggiunto livelli da leader (è il caso di Media World che con l’e-commerce fattura 53 milioni di euro), la tendenza, dunque, è ricondurre il tutto alle logiche di sempre. Perché l’online altro non è che l’estensione del punto vendita fisico, privato della rigidità del materiale e protratto nel tempo e nello spazio. Ridimensionando l’affermazione di chi vede nel web il mercato. Se, infatti, i frequentatori di Facebook potrebbero per numeri rappresentarne uno a se stante, altrettanto si dovrebbe dire di quelli delle catene. Salvo poi verificare chi sono i relativi frequentatori e come utilizzano quei luoghi, reali o virtuali che siano. Concludendo che multicanalità oggi significa capacità di intervenire su tutto il processo produttivo. Dalla fase di formazione del desiderio sino a quella dell’acquisto, consci non si tratti di un percorso lineare.
E a proposito di desiderio (sempre ammesso che ancora esista, ascolta in merito lo stralcio dell’intervento di Umberto Galimberti filosofo e docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, per il quale il consumare rientra tra i vizi capitali) il pericolo è quello di cedere alle logiche della personalizzazione, anche perché non è detto che quanto il singolo vuole oggi valga domani. Insomma, siamo poi certi che il così detto ‘Smarter Consumer’ che tanto chiede di essere ascoltato e capito conosca se stesso?
Ma veniamo ai dati della ricerca, che in primo luogo disegna un consumatore cambiato dalla crisi. Oggi più oculato, vuole spendere meno e meglio. La tecnologia ha pervaso ogni momento del suo processo d’acquisto. In forte aumento le persone che di essa si avvalgono (85%), alcuni facendo riferimento a una sola, altri a più. Il nostro paese, poi, è tra i ‘maturi’ quello con più alta percentuale di accettazione di quelle mobile (21%). Cresce anche il desiderio di servirsi della tv come mezzo d’acquisto. E l’età non è più discriminante. La fascia tra i 15 e i 19 anni ricorre alla tecnologia per acquistare tanto quanto i 50-59enni (per la precisione il 42% contro il 41%) e anche gli over 60 non tradiscono il trend (con il 37% l’Italia è in questa fascia sopra media).
I social network assumono un ruolo sempre più determinante, confermando il fatto che gli italiani si lasciano maggiormente influenzare da familiari, amici e giudizi di altri consumatori, più che dal produttore, dalla marca o dal rivenditore, soprattutto in settori quali cura della persona, alimentari e abbigliamento. In controtendenza lusso ed elettronica, dove esperti, retail e marca pesano quanto i social network.
La tecnologia bypassa la ricerca di negozio in negozio, arrivando sul punto vendita con le idee più che chiare. Tanto da consigliare a tutti di fare i conti con tale presupposto, individuando tre linee da seguire:
Ascoltare, retailer e marche che partecipano all’interscambio nei social apprendono moltissimo sulle necessità dei loro consumatori.
Sapere, ossia conoscere per personalizzare il processo d’acquisto, ad esempio, con promozioni ad hoc, o modalità di pagamento in sintonia con quanto preferito, nel fine della fidelizzazione.
Dare potere, secondo Ibm i retailers devono garantire libertà di scelta nell’utilizzo del canale di acquisto e nella modalità di interazione. Ben il 40% degli intervistati, infatti, vuole controllare il prezzo dei prodotti in qualsiasi posto si trovino e ottenere promozioni, mentre il 50% è disposto a utilizzare il proprio cellulare personale per evitare la fila del check out.
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