Adci? Ormai è un award. E i fake sono truffa, per vincere e poter stare in giuria
04/02/2011
Anche per Luca Scotto di Carlo, creative partner M&C Saatchi, quella che avrebbe dovuto essere la nuova era del club più che aprire al talento e alla rappresentatività anche delle nuove leve lo sta conducendo al baratro. Avendo usato la congiunzione ‘anche’ perché in molto la tesi del creativo sposa quanto da Vigorelli (che per Scotto di Carlo è stato non a caso maestro) al microfono di youmark sul tema ha recentemente esposto. L’Adci non può limitarsi ad essere un annual, specie oggi che si ha accesso a diversi siti internazionali con campagne da tutto il mondo. Il suo senso sta nel rappresentare i creativi. Cosa che non è più. Dunque, o si prova a risorgere tutti insieme o si affonderà singolarmente.
Luca, faresti il presidente?
“Sì, lo farei, sono sempre stato iscritto, sono in regola con tutte le quote associative”.
Dunque, vedremo a breve il tuo nome tra i candidati?
“Il problema è che il club negli ultimi tempi ha preso una deriva in cui non mi riconosco più. Soprattutto perché più che Adci è diventato un award”.
Anche tu contro le false campagne?
“I fake sono un truffa. Se è giustificabile la voglia di dimostrare di tanto in tanto il proprio talento creativo oltre le regole del business, il buon senso e la dignità devono sempre prevalere. Specie nel giudizio”.
E’ sui criteri di selezione della giuria che vuoi parare?
“Credo che la decisione di far sedere in giuria chi ha preso più premi negli ultimi anni fosse nata per dar spazio anche alle nuove leve. Ma ha finito per trasformarsi in boomerang. Non a caso, se andiamo a controllare, i premi vinti negli ultimi anni fanno capo a direttori creativi che pur di meritare il podio all’iscrizione si titolavano anche quali copy o art. Insomma, una malsana corsa per accaparrarsi più punti. A suon di fake”.
E i giovani?
“Che insegnamento ne devono trarre? Semplicemente la demotivazione, così che quando si ritrovano a lavorare su campagne vere lo fanno sempre più controvoglia. Almeno si insegnasse loro a difendere la propria idea creativa, seppur falsa. Almeno ci si impegnasse poi per diffonderla, cercando spazi, facendo di essa parlare i media”.
E la pubblicità, almeno il comparto da tanta ‘libertà creativa trae vantaggio?
“Nessuno ricorda le campagne finte. Le persone comuni hanno memoria dei lavori veri. La campagna Heineken, quella Aqualtis, l’indiano di Peugeot. E poi, prendete uno come me che ha la sua agenzia e deve far quadrare i conti, capite che inizia a chiedersi se vale la pena anche iscriversi all’Adci. Perché non si tratta solo della sua quota, ma anche quella dei ragazzi del suo team. Che poi vogliono iscrivere campagne. Sperando di vincere. Allora ricorrono al fake. E diventano famosi in quel piccolo cerchio di persone. Ma a chi importa"?
Sposeresti l’idea di un tavolo allargato?
“La trovo un’idea percorribile. Niente presidente e consiglieri, ma persone paritetiche che si assumono le proprie responsabilità, consce di raccogliere poi oneri e onori delle scelte, in modo equamente ripartito” .
guarda tutte le Interviste