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Pintér guarda il mondo, non dalla serratura - Una nuova frontiera: la Pubblicità Regresso?

28/01/2011

Un tempo, quando i mulini erano bianchi, esisteva una cosa chiamata Pubblicità Progresso. I media erano molto meno di quanto fossero oggi, le agenzie vivevano ancora nell’età del 17 e mezzo per cento. I pubblicitari avevano grosso modo lo status di un profeta, a cui rivolgersi perché miracolassero la curva delle vendite. 

Eppure in quel mondo incantato, agenzie, creativi, utenti, editori e tv usavano parte delle loro energie e del loro denaro per creare e trasmettere al pubblico messaggi edificanti, che avrebbero dovuto migliorarne i comportamenti, la salute, la convivenza civile, magari perfino il rispetto di sé. 

Non c’era bisogno di chiedere il perché, visto che gli autori pubblicavano corposi documenti a proposito del proprio ruolo sociale ed educativo. Può essere che ci credessero anche. Ma il sospetto è che la ragione vera di un impegno così ingombrante fosse tutt’altra: la pubblicità sentiva di avere qualcosa di terribile da farsi perdonare. 

La televisione, persino nei suoi spettacoli di ballerine (ma con le calze), rappresentava una morale comune granitica. La politica, istituzionale o rivoluzionaria che fosse, non mancava mai di un possente accento moralista. C’era una sola breccia verso un mondo  peccaminoso e proibito, ed era la pubblicità. Si trattava di qualcosa di molto più conturbante che una tetta malandrina qua o un’allusione sessuale là. Era proprio il gorgo sensuale del consumo a dare alla pubblicità quel profumo dannatamente diabolico, ai cui forse era meglio non far esporre i bambini. 

E’ facile rendersi conto di quanto è cambiato il mondo. Ricordo che un giorno della mia preadolescenza, mi capitò di aprire una rivista molto seria. Oltrepassati gli ammonimenti di Ugo La Malfa a Mariano Rumor (o qualcosa di altrettanto pensoso) sbattei in un annuncio pubblicitario in doppia pagina che conteneva qualcosa che non dimenticherò mai. Al centro c’era un vecchio parruccone che rideva, semisdraiato su un ottomana, stringendo in mano un bicchiere di vino di Oporto. 

Ma questo era solo l’inizio. Il bello è che intorno all’anziano gaudente, roteava una incredibile bolgia godereccia di decine di cortigiane (per chiarezza, tutte maggiorenni e sicuramente vaccinate). Alcune sdraiate su divani, alcune che ridacchiavano, impegnate in qualche giochetto apparentemente innocente, altre si inseguivano a quattro zampe sui tappeti con qualche volonteroso cicisbeo. Qualcuno suonava, qualcuno probabilmente cantava. Il titolo diceva, meravigliosamente: 'Una sera, Lord Offley si rese conto che non sarebbe mai riuscito a bere tutto il Porto che produceva'. 

Se, a distanza di qualche decennio, quell’immagine è ancora conficcata nella mente, si può ben capire quanto il salto tra due mondi, quello (vero) dei governi monocolori e quello (immaginario) di Lord Offley potesse essere conturbante. La pubblicità, proprio per questo, faceva paura. Persino dove non c’era assolutamente nulla di nemmeno vagamente peccaminoso, si immaginavano fumi subliminali studiati per spingere le masse verso la dannazione, ad esempio, di una bottiglia di shampoo. 

Oggi, se vuoi cercare la trasgressione più hard, conviene accendere il telegiornale all’ora di cena. Dopo quello, non c’è niente di proibito che uno spot o (massì, esageriamo) un viral possa offrirti. E sicuramente, non una famiglia in cui il ragazzo della figlia si presenta a cena coi capelli pettinati strani. 

Abbiamo il problema opposto rispetto a chi, genialmente, si inventò l’idea di Pubblicità Progresso. Non abbiamo più nulla da farci perdonare. Chissà, forse, sarebbe il caso di riunirci in associazione, e vedere in quale modo sia possibile restaurare il primato della trasgressione, strappandolo a preti, ministri, presidenti del consiglio e di regione…
Un vasto programma. 

Antonio Pintér, direttore creativo Arnold Italia

 

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