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Stati Generali AssoComunicazione: cambiare si può. Ma in sala rari gli ad delle agenzie top

29/11/2010

Una constatazione che è anche denuncia. Soprattutto alla luce delle caratteristiche della comunicazione italiana, dove pochi soggetti tengono le redini del business che conta. La questione, dunque, della possibilità-capacità di voltare pagina si fa matassa inestricabile, prigioniera dell’individualismo di un mercato inetto a fare squadra. Venerdì, a Milano, AssoComunicazione ha tenuto l’incontro ‘Qualità, Governance e Lavoro. Il nuovo ruolo dell’Associazione’. Ma erano veramente in pochi ad ascoltarla. Tanto che il paragone con l’entusiasmo, la partecipazione e l’eterogenea attività dell’Ipa britannica (Hamish Pringle, direttore generale Ipa, così come Marie Pierre Bordet, vice presidentee deleguee generale Aacc, sono intervenuti per raccontare le reciproche esperienze) una certa amarezza l’ha di certo lasciata. 

Se non altro perché dimostrazione di come la crisi non possa essere invocata ad alibi, nascondendo la debacle del sistema italiano molto altro ancora. E se da un lato viene quasi da scusare l’atteggiamento di chi al buttarsi nella discussione preferisca portare a casa un nuovo cliente (come dire, difficile predicare se senti i morsi della fame), all’opposto è reale la consapevolezza che senza revisione delle strategie di rapporto con il mercato non si vada più da nessuna parte. Perché fatturati, margini e decremento degli investimenti dettano da ormai troppo tempo regole difficili da sostenere per chiunque. 

E i bilanci parlano chiaro. Inutile nasconderli. Un’agenzia non sta in piedi con commissioni del 60 - 70% ridotte negli ultimi 10 anni, sino allo 0,75% sul netto, così come partecipando a gare costose purché provare ad annoverare tra le liste un altro nuovo cliente (l’iniziativa AssoComunicazione delle schede sulle gare private è andata bene il primo anno, ma già i riscontri flettono. Per non parlare della situazione di quelle pubbliche. Dove si attende il varo della nuova legge). 

E la via non è certo quella di sacrificare la qualità. Che, anzi, deve tornare a essere tema di rivalsa, incentrando i nuovi sforzi nella definizione dell’agenzia che verrà. Lontana da quelle organizzazioni a silos erroneamente apparse veloce e redditizia via per appropriarsi dell’integrazione, del nuovo con cui la comunicazione contemporanea ha obbligato tutti a fare i conti. Il punto sta nel tornare a essere strategici per le aziende, superando la matematica razionalità degli uffici acquisti, perché qui la misura è un’altra. Insomma, i brand devono capire, anche a suon di no, che non basta comunicare, occorre farlo bene. 

E qui sta il punto. Un consenso collettivo a riappropriarsi della dignità professionale indispensabile, oltre che per sopravvivere, per evolvere e crescere. Non tanto in dimensioni, ma in rilevanza (la nascita di nuove agenzie dimostra che le vie del successo possono passare attraverso formule diverse, anzi, magari proprio dove il ‘finanziario’ cede a favore di motivazione, professionalità, talento e soprattutto dove c’è visione di lungo, con rapporti tra agenzie e marche che durano, oltre l’impatto nel conto economico del momento, le cose vanno leggermente meglio ). 

Non a caso, a ciò si ricollega la proposta più concreta lanciata venerdì da AssoComunicazione, la cosiddetta Flexsecurity (l’idea è di Alessio Fronzoni, essendo all’opera per la sua formulazione il senatore Pietro Ichino). In pratica, la prima cassa integrazione per le professionalità del comparto, così da garantire alle agenzie il mantenimento del capitale umano che sa fare la differenza. Se ne discuterà nella prossima assemblea AssoComunicazione di dicembre e se all’unanimità verrà detto sì, si passerà dalle parole ai fatti. 

Infine, sempre a proposito della necessità di fare sistema, è datato gennaio l’incontro che sancirà la costituzione di una Federazione della comunicazione in Confindustria, vedendo la partecipazione AssoComunicazione, Assorel e Unicom (a sorpresa Strona rilancia l’unificazione, ma Masi fa prontamente sapere che non si ricandiderà, dunque il tutto passa eventualmente nelle mani del suo successore). 

Obiettivo di subito, la definizione di un nuovo contratto di lavoro (l’attuale è utilizzato solo nel 4% dei casi). Cruccio del poi, la rappresentatività. Ha senso, infatti, inglobare realtà così eterogenee e diverse? Insomma, guardando anche solo dentro le mura AssoComunicazione in molti lamentano troppe difformità tra le realtà inglobate. C’è chi invoca la nascita di un nuovo club delle eccellenze. Chi rifugge lo ‘snobismo’, in nome del peso e della rilevanza che i numeri garantiscono. Chi, semplicemente, rivendica il ruolo di garante della qualità, di certificatore. Come si evince, dunque, il tema della governance è ancora tutto da definire. 

Al microfono di youmark Diego Masi, presidente AssoComunicazione.

 

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