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Brenna/Leo Burnett: tutta invidia. In Italia bravi solo io e Massimo Costa

09/11/2010

L’accusa che spesso gli viene mossa è di essere un finanziario. Il male che ha pervaso la pubblicità. Con i network della comunicazione diventati macchine macina soldi, dimenticando da tempo il vero motivo per cui sono nati. La creatività ha ceduto il passo alla quadratura dei bilanci. Elefanti burocratici poco reattivi alle nuove istanze del mercato, svuotati di professionalità a causa della crisi. Con le spalle al muro. Anche qui da noi incalzati da decine di nuove strutture piccole e agili, flessibili, reattive, meno esigenti in fatto di remunerazione, che rastrellano incarichi e sottraggono business. Giorgio Brenna, chairman & ceo continental Western Europe del Gruppo Leo Burnett, rimanda tutto al mittente. Senza peli sulla lingua, come nel suo stile. Aspettando il 2011 convinto che sarà ancora meglio di quello che è stato il suo 2010.

In Italia, pubblicitariamente parlando, il ‘finanziario’ per antonomasia sei tu. Dando al termine una chiara accezione negativa
“Mi sembra una considerazione che, oltre ad essere sterile, rivela un chiaro sentimento di invidia. La mia agenzia è quella che nel mercato italiano è andata meglio negli ultimi cinque anni. E i numeri parlano chiaro, avendo registrando in questo arco di tempo un +70%. Poi ci sono gli aspetti fattuali, come il new business. Anche in questo caso siamo l’agenzia che ha portato a casa il maggior numero di new entry. Significa che anche i clienti credono nella nostra bravura. Senza dimenticare che Leo Burnett Italia è l’agenzia più costante nei ranking creativi”. 

Quindi fiero di esserlo
“Sono strafelice di essere un finanziario, non ho alcun timore reverenziale nei confronti di chi finanziario non lo è e non mi sento sfigato rispetto agli altri. Chi dice che i network sono diventati delle finanziarie lo dice quando ha bisogno di accampare scuse. Leo Burnett ha un ufficio che è un teatro, 1.500 mq occupati da 40 persone. Uno spazio totalmente sprecato e un chiaro esempio di quanto non siamo finanziari. La verità è un’altra. E cioè che sono tirato in ballo per la maggior parte da matusalemme oggi a capo di agenzie che non riescono ad essere competitive. Queste persone hanno iniziato a lavorare quando la finanza non guidava il mercato e cosa sono state capaci di fare? Continuano a dire che oggi è tutto sbagliato e si dimenticano che la prima causa del disastro della comunicazione italiana sono stati loro”. 

Un problema di generazione, di nuove leve, comune a molti comparti nel nostro paese?
“Sì. Non hanno voluto crescere una seconda linea per paura che qualcuno sottraesse loro la poltrona. Hanno incominciato a lavorare dando al mondo della pubblicità una connotazione magica e poi lo hanno trasformato in una setta che ha escluso i migliori talenti. E non è un caso se i più meritevoli vanno a lavorare nel design, nella moda, nell’architettura”. 

Allora tu cosa sei, un’eccezione?
“Io sono un caso atipico, e sono il più bravo. Insieme a Massimo Costa (presidente e ad Y&R Italia, ndr), eccezione pure lui”. 

Ma tu fra dieci anni dove ti vedi, la stai crescendo la seconda linea?
“Quando sono arrivato avevo venti anni meno di chi era andato via. Ho abbassato di venti anni la media dell’età delle persone che oggi lavorano da noi. Sto facendo esattamente la stessa cosa all’estero. Settimana scorsa ero in Germania, dove ho nominato a capo della Leo Burnett di Francoforte una donna tedesca di 37 anni al posto di un 53enne. In Spagna il direttore creativo su Iberia ha 35 anni. Fra dieci anni non mi vedo più in Leo Burnett, almeno non qui in Italia”. 

Tornando al nostro mercato, le agenzie indipendenti, di più piccole dimensioni, che stanno nascendo non ti creano problemi?
“Un filo di fastidio lo danno. Ma il fatto che facciano dumping è un altro alibi. Certo, magari qualcuna tira sul prezzo, magari qualche budget finisce nelle loro mani, ma non vedo il problema. Non è che i network sono morti. E’ morto un modello, quello che li voleva come agenzie di adv che magari facevano anche un po’ di below the line. Noi siamo cambiati e non da ora. Il nostro è un gruppo dinamico che sta crescendo”. 

Come è andata per voi quest’anno? Hai notato una ripresa?
“In generale la ripresa c’è stata, credo si chiuderà intorno al +4 o +5%. Noi siamo cresciuti del 14%, grazie non solo alle riconferme ma anche alle nuove acquisizioni - Iveco, Chrysler, Lindt - che dall’Italia gestiamo per tutta Europa. Fra le sedi di Milano, Torino e Roma siamo in 450. L’anno prossimo lo prevedo ancora meglio”. 

Contento quindi
“Non sono contento, sono soddisfatto. Più di così credo non si potesse fare”.






 

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