La televisione si fa ibrida. Da elettrodomestico a device. Con l’incognita del contenuto
15/10/2010
Perché il senso ultimo della rivoluzione tecnologica andrà cercato tutto lì. Nel quanto gli autori sapranno farsi dalla stessa stimolare per creare del nuovo. E se la prima strada fu il piccolo schermo trasportato in rete (tra l’altro con i broadcaster ad avere con essa differenti rapporti. Ad esempio, la Rai accetta la ‘pirateria’ di YouTube, però in cambio della gestione della pubblicità all’interno dei suoi contenuti. Mediaset dissente), il passo successivo è il viceversa, ossia l’internet che entra nella tv. Ci ha già pensato anche mamma Rai. Che dal 2011 lancerà la sua catch up tv (oggi esiste solo in rete), ossia la possibilità di godere su piccolo schermo e per una settimana dei contenuti già andati in onda, on demand. Ovviamente via banda larga. Dunque, abilitando solo i telespettatori già in possesso di un decoder di ultima generazione (quelli a bollino DGTVi blu o gold). Indicando l’opportunità anche quale via per l’accesso alla banda larga dei disinteressati alla rete. Stimando infatti che, pur partendo in sordina, nei prossimi 3 anni arriverà al 60% la percentuale di chi usufruirà della tv ibrida.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Calandosi nella realtà operativa di problemi ce ne sono eccome. Oltre alla già citata sfida sui contenuti, aleatoria diventa l’aera normativa dettata dal World Broadcasting Union. Quanto prodotto dalla rete, infatti, ne resta assolutamente escluso. Così, salvo intervenire con soluzioni nuove e ad hoc, resta irrisolta la questione della tutela dei minori, così come la definizione della competenza pubblicitaria, potendo succedere di creare doppie esposizioni, convivendo la programmazione del broadcaster televisivo con le scelte opzionate dal telespettatore via internet. Insomma, una matassa tutta da sbrogliare, di cui oggi nessuno ancora conosce soluzione.
Di certo c’è la voglia della tv di voltare finalmente pagina. Sì, perché dopo anni in cui se ne sente parlare, potremmo proprio esserci. Partendo dallo smantellamento delle tre categorie portanti della comunicazione televisiva. Lo spazio (la tv era stata sin dagli esordi il media che aveva portato l’intrattenimento in casa), il tempo (prima era definito, oggi è esteso) e la comunità (si sta passando dalla massa al gruppo).
Ma gli ostacoli non sono pochi. Primo tra tutti la forza della generalista nel nostro paese. Ma anche la congiuntura economica, che limita l’ampiezza delle fasce disposte a pagare per un servizio aggiuntivo, soprattutto in Italia, dove la tv ci ha abituato alla gratuità. Senza dimenticare ‘l’età anagrafica’ del nostro paese, con la forza propulsiva dei giovani a scemare.
Tornando ancora una volta a sottolineare il tema dei contenuti. Problema peraltro nuovo per la tv, che per anni ha solo dovuto aprire la finestra per alimentarsi, saccheggiando dal teatro, letteratura, vita quotidiana. Persino la pubblicità ha costituito un contenuto, da Carosello, in poi. E ora, cosa saprà inventare per convincere?
Al microfono di youmark Alberto Morello, direttore del Centro Ricerche Rai di Torino, e Giorgio Simonelli, docente di giornalismo televisivo presso l’Università Cattolica di Milano, incontrati ieri, tra i relatori della conferenza 'Comunicazione e tecnologia - Le nuove frontiere della Tv’, organizzata dall’Italy Chapter dell'Iaa, International Advertising Association, a Milano.
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