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Quando a parlare di adv è la gente

22/10/2007

I consumatori giudicano l’adv volgare, diseducativo, non etico. A dirlo è il blog spotanatomy, nato proprio per creare un punto d’incontro tra chi la pubblicità la fa e chi la subisce. E già il temine non è positivo. In realtà, infatti, dalla lettura dei diversi commenti emerge come a piacere di più è una comunicazione ‘spettacolo’, che vuole intrattenere, non interrompere. Chissà se è poi anche quella che rende di più alle aziende. 

Spotanatomy appartiene alla ‘fucina’ di ‘Comunicagroup’, il network di Luca Ajroldi, 15 diversi blog, accomunati dal taglio giornalistico e dal rispetto dell’etica professionale. Insieme oggi raggiungono circa 3 milioni e mezzo di pagine viste e 800.000 visitatori. Spotanatomy ne conteggia almeno 8.000 al giorno, che arrivano agli 11.000 in casi topici, quale ultimamente è stato la campagna ‘Anorexia’ a firma Oliviero Toscani, per cui youtube ha saputo essere più tempestivo del garante. Come ci spiegano Magda e Gabriele Paolillo, editor e coeditor, oltre che ideatori, l’idea è nata dal comune interesse: “Uno sfizio per appassionati. Anche perché non c’era nulla che parlasse della pubblicità proprio come la guarda il consumatore. Così è nato questo spazio, per mettere in contatto chi la pubblicità la subisce e chi la fa”. 

E cosa emerge da questo incontro?
“Il martellamento. Una critica all’assenza di valore educativo. Avevo letto che il 90% del nostro tempo siamo sottoposti alla pubblicità, giornali, manifesti, radio, tv, internet. Già è troppa, ma soprattutto è sbagliata. Messaggi volgari, senza etica, intrisi di maleducazione”. 

Ma non è che i blogger esagerino, anche perché l’adv ha altri scopi, non certo educare?
“E' vero. Ma tra valore educativo e portata diseducativa il gap è ampio. Considerate che ogni giorno facciamo circa 4 post. Chi ci legge è l’italiano medio, proprio quello cui le aziende spesso si riferiscono. Però, se un certo modo di fare comunicazione non ha presa, anzi non piace proprio, perché le aziende si ostinano a propinarla, qual è il loro scopo?”. 

Sicuramente per vendere i loro prodotti e probabilmente ci riescono se persistono, non credete?

“In media per un commento positivo ce ne sono almeno cinque negativi. Il fastidio non è alla pubblicità, ma al tipo di pubblicità” 

Da chi vi arrivano le segnalazioni?
“Per metà da noi e per metà dalla rete, dai lettori. A volte direttamente dai creativi che vogliono conoscere il parere dell’opinione pubblica. A volte dalle stessa aziende. Più per intervenire a una sollecitazione, a un commento che implica la loro risposta, in quanto soggetti che in ultima istanza approvano le campagne”. 

Insomma concedete il diritto di replica?
“Ci auguriamo sempre di avere il feedback di creativi o aziende. E’ successo ad esempio nel caso dell’ultimo spot della Daygum Protex, abbiamo chiesto l’intervento di Margherita Castellani, direttrice Selection, l’agenzia che ha curato la realizzazione del dibattuto spot del ‘piccione’. Per conto della Perfetti Van Melle ci ha dichiarato che la sensibilità dei consumatori è fatto soggettivo. Che è, dunque, inevitabile urtare quella di alcuni, specie se la pubblicità, come per distinguersi deve fare, punta sull’impatto di ironia e surrealtà”.

Quanto l'opinione di spotanatomy influenza la comunicazone dei brand. Vi è capitato di incidere sulle sorti di una campagna? 
"Lo scorso ottobre evidenziammo l'illecita presenza del claim ‘Rinforza il sistema immunitario del bambino dal primo al terzo anno di età’ sulle etichette dei prodotti e sul sito internet Mellin. Era stato poi Plasmon ad agire sollecitando l’intervento del Giurì, che con la sentenza n° 18/2007 del 20/2/2007 decideva che ‘la campagna pubblicitaria non era conforme agli art. 2 , Pubblicità ingannevole, e 23 bis, Integratori alimentari e prodotti dietetici, del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria nella misura in cui rivendicava ai prodotti, con enfasi non confortata dallo stato attuale della ricerca scientifica, l'efficacia incrementativa del sistema immunitario dei bambini’. Entro 90 giorni avrebbero dovuto essere aggiornate anche le etichette delle confezioni. Non fu così, lo puntualizzammo e a marzo caso volle che quella dicitura scomparve”. 

Avete mai avuto noie legali con le aziende?
"Non noie vere e proprie, ma intimazioni a cancellare i messaggi, sì. E’ il caso, ad esempio, di una mail inviataci a fine 2006 da uno studio legale di Rotterdam che, per conto di Carlsberg ci intimava di eliminare le immagini del post ‘Una bottiglia tira l’altra’ e del più datato ‘I turbamenti della Tuborg’. Perché a loro avviso quelle foto erano coperte da copyright e rivelavano informazioni confidenziali”. 

E voi cosa avete fatto?
”Ovviamente, abbiamo subito ‘obbedito’. Ma la Carlsberg non ci ha certo fatto una bella figura. La rete non dimentica, quello che è stato scritto una volta resta. Anche perché non si è obbligati a cancellare i commenti. A volte ingerenze di questo tipo sembrano tristi tentativi di aumentare il ‘rumore’ sul prodotto, per un po’ di pubblicità a costo zero”.

 

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