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Oggi l'editoriale lo scrivo io/ Emilio Haimann - AssoComunicazione. La classifica, in fondo

18/10/2010

Mi chiedo (e penso di non essere l’unico a farlo) perché venga pubblicata la classifica delle agenzie associate ad AssoComunicazione. Il motivo non credo sia legato alla divulgazione dei bilanci, quelli sono pubblici comunque. In più, sarò forse malizioso, ho sempre sospettato che sarebbe emerso un certo numero di curiose differenze, da un eventuale controllo incrociato tra i numeri dichiarati all’associazione da alcuni e quelli presentati dagli stessi alla Camera di Commercio. 

Vero che c’è sempre stata la faccenda del consolidamento della società partecipate, che ha contribuito a creare una certa confusione, ma è altrettanto vero che alcuni hanno approfittato di quell’equivoco per dichiarare una dimensione opinabile. 

Allora, lasciamo perdere ed evitiamo di considerarlo un ranking che presenti i numeri di bilancio. E, dunque, di che cosa stiamo parlando? Una classifica per fare che? 
Vincere il campionato delle convocazioni in gara?
Probabile. Ma un campionato solo muscolare, mi viene da credere. 

Io sono grande e buono, tu brutto e piccolo (o medio) e ti annichilisco, anche se produco una montagna di lavoro che qualitativamente conta come una nocciolina per un elefante.
In altre parole, le strutturone schiacciano le altre sulla base della loro quantità. 

Cioè, di una bella quantità di adattamenti, una bella quantità di lavoro di servizio, una bella quantità di revenues (che mica sono disprezzabili, intendiamoci, pecunia non olet: un conto è essere sani, un altro essere santi). 

Tanta quantità, che però spesso non nasce in casa Italia, ma in casa madre, dimostrando così che certe sigle del mercato hanno dei limiti pure nel creare le loro stesse certezze.
Per essere preciso, mi riferisco a quei contratti stipulati dalle holding proprietarie delle sedi locali di tante agenzie multinazionali, che gonfiano così i propri numeri e spadroneggiano nella classifica di casa nostra. 

La classifica di quantità. 

Peccato che i piccoli (o medi) cattivi lo siano davvero e che negli ultimi tempi si siano dati un gran daffare per scardinare il sistema (basandosi su una visione che potremmo riassumere nel coraggio dell’indipendenza). 

E puntando su che cosa? Ma sulla qualità, è ovvio (come ho già detto: bisogna essere prima di tutto sani, anche nel posizionamento).
Ed è una scelta inevitabile. 

Molte adipose sigle hanno fatto fuori chi ha il mestiere in mano (la qualità, appunto) per dimagrire e far quadrare i conti. E hanno sostituito professionisti in gamba e di spessore con acerbi stagisti, per continuare a gestire la quantità prevista. 

Prima conseguenza?
Impoverimento delle strutture, giovani che crescono alla stato brado, senza maestri da cui apprendere (errore grossolano) e tanta qualità a spasso (classico autogol). 

Primo risultato?
Insoddisfazione dei clienti per la scarsa qualità, per la quantità di stagisti e per la mancanza di competenza dell’agenzia (è normale, se licenzi quelli bravi che inoltre possono insegnare ai pulcini). 

Dunque?
Esodo di clienti e nascita di agenzie piccole e medie create dalla qualità fuoriuscita, che si propongono sul mercato con nuove visioni, struttura di costi più efficace e tanta competenza.
Il sistema ne risulta così scombussolato, che oggi certi colossi i dati non li pubblicano più per evitare di dimostrare di essere degli ex, che perdono colpi (pure in quantità) e posizioni in classifica. 

E’ un dato oggettivo: il mercato non cresce, ma i piccoli e i medi crescono.
E da dove prendono la loro crescita?
Ovvio, dai numeri che certe sigle non vogliono più pubblicare.
E la classifica, in tutto questo?
Non si adegua ancora. 

Ogni autunno, come se fosse un appuntamento con madre natura, i fogli dei dati cadono sulle scrivanie dei ceo di alcune agenzie, molte di quelle che decidono i destini di tutti gli associati e solo perché sarebbero in testa alla ex-classifica. 

Ma sono fogli morti.
Di strutture superate. Superate non solo dai piccoli e dai medi, ma dal mercato stesso.
Agenzie senza qualità (chiedo scusa a Musil).
Non li divulgano più i numeri, però marciano sulla furba strategia dell’assenza: che classifica sarà mai, si insinua, se manca tizio, caio e sempronio? 

Che cosa dovrebbe fare la classifica in questa situazione?
Stare ferma, a ripensarsi. 

E’ arrivato il tempo di stabilire criteri contemporanei, prima di fare ranking anacronistici.
Il mercato usa un approccio qualitativo, perché no AssoComunicazione?
In fondo, ci hanno insegnato che in presentazione di credenziali si vada con le strategie, la creatività, i prodotti di comunicazione che un’agenzia sa realizzare qui a casa sua e con le persone che mette in campo ogni giorno.
Non con gli adattamenti e i dati di bilancio.
E, in fondo in fondo, parliamoci chiaro: in presentazione ci si porta il direttore creativo o il direttore finanziario? 

Spero che quest’anno le piccole e medie agenzie non stiano al gioco e si rifiutino di pubblicare i propri dati.
Ma per un motivo diverso da quelli degli ex-grandi concorrenti: che interesse c’è a farsi classificare per i dati numerici (anche se fossero sani e santi) quando sappiamo bene che la differenza sta nella qualità? 

Se in ballo ci sono autorevolezza, credibilità, spessore delle agenzie per poter essere selezionate con giusto criterio da potenziali clienti in caso di gare o assegnazioni di lavoro, le classifiche di quantità non servono. 

Meglio allora un elenco di tutti gli associati in ordine alfabetico, per non scontentare nessuno, che riporti di fianco a ciascuno un link a una case history o un lavoro di riferimento con cui l’agenzia sceglie di presentarsi al mercato.
Almeno si vedrebbe di che qualità siamo fatti.

Emilio Haimann, presidente Hi! comunicazione

 

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