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La comunidad che guarda al mondo

24/10/2007

Dal quartier generale di Miami e Buenos Aires, parla ai 47 milioni di ‘consumatori’ ispanici degli Stati Uniti. Ma ora gli vanno stretti. 

Nel 2001 ha salutato Wieden+Kennedy Portland, dove era direttore creativo, e insieme al fratello, Joaquin Mollà, ha fondato la comunidad. José Mollà racconta a youmark la sua visione della comunicazione, da esportare anche in Europa.

Perché i consumatori ispanici sono un business a sé all’interno del mercato americano e quali sono le principali differenze in comunicazione, lingua a parte?
“Negli Stati Uniti vivono 42,7 milioni di ispanici. Ovviamente acquistano tutto ciò che il mercato offre loro, ma al contempo continuano a mantenere una forte identità. Questa identità è molto diversa rispetto a quella tipica americana”.

Come Sebastian Wilheim, fondatore della Santo di Buenos Aires, anche tu hai lavorato in Wieden+Kennedy. Sembra che questa agenzia dia una marcia in più ai creativi che passano di lì. Sei d’accordo?
“Sono stato il primo argentino che ha lavorato in Wieden+Kennedy e mi sono fermato per cinque anni. In Wieden si vive un particolare ambiente creativo. Proprio per questo, dopo essere stato lì non ho potuto fare ritorno in un’agenzia più tradizionale. Non ho avuto altra scelta che mettermi in proprio”.

Dici di utilizzare in comunicazione un modello flessibile, che può essere applicato a progetti diversi ma senza usare ogni volta la stessa formula. Cosa significa?
“La nostra agenzia si basa sull’idea della community e non crediamo nelle formule standard. Cerchiamo di approcciare ogni nuovo progetto con una prospettiva diversa, personalizzata per quel prodotto o brand, in quello specifico momento. Poi creiamo la community che riteniamo giusta per l’incarico. Il cuore del team creativo e strategico è al nostro interno, ma accade spesso di coinvolgere talenti al di fuori dell’agenzia. A seconda del progetto possono essere artisti, designer, animatori 3D, programmatori. Ci piace sperimentare nuove alchimie”.

Hai dichiarato di voler vendere idee ma non nella maniera tradizionale che utilizza stampa e tv. Quanto il web ti ha aiutato in questo percorso? E qual è il tuo approccio al piccolo schermo?
“La televisione è un ottimo mezzo e continua ad essere quello principe per raggiungere tante persone velocemente. Non credo scomparirà. Però solitamente, in tv, i brand interrompono qualcosa che gli spettatori stanno guardando, parlando in maniera arrogante, senza feedback. Il bello dello spazio interattivo è che esiste sempre un dialogo. Le persone decidono come e quando interagire col tuo brand, alle loro condizioni. I brand non possono limitarsi a parlare di se stessi. Oggi più che mai devono coinvolgere e sedurre i consumatori parlando di ciò che interessa loro”.

Il vostro approccio al mercato ispanico può essere applicato a qualsiasi altra comunità che vive negli Stati Uniti, come quella italiana?
“Ci sono specifici insight che valgono solo per il mercato ispanico, ma ce ne sono molti altri comuni a tutti gli stranieri che lasciano il loro paese per venire a vivere qui in cerca di migliori opportunità”.

Vi interessa lavorare per il mercato europeo?
“In Wieden Amsterdam e Londra ho lavorato per Nike Europa. Ci piacerebbe molto lavorare per clienti europei. Soprattutto dopo la nascita dell’Unione, l’Europa è diventata un mercato molto eccitante”.

Quali sono oggi i limiti dei grandi network di comunicazione e quali i plus?
“I grandi network garantiscono supporto e sicurezza. Ma ritengo che oggi essere indipendenti rappresenti un vantaggio. Avere una struttura in ogni paese è costoso e non più così rilevante. Sempre più spesso grandi clienti, come Cola-Cola o Procter & Gamble, coinvolgono piccoli hot shop capaci di imprimere unicità ai loro business. In verità, ciò che conta sono le idee. Le uniche che fanno raggiungere grandi successi di mercato”.

Hai vinto molti premi. Credi che siano importanti per il new business?
“Le agenzie di pubblicità si basano sulla motivazione delle persone. La motivazione fa la differenza fra una buona agenzia e una medicore. I premi servono a mantenere le persone motivate. Però non credo nelle agenzie che diventano famose per una o due grandi campagne, vincendo tonnellate di premi, ma che nel quotidiano svolgono un pessimo lavoro. Se fossi un cliente alla ricerca di un partner di comunicazione, vorrei vedere il meglio e il peggio prodotto dall’agenzia, per capire qual è la media. I premi hanno valore quando sono il risultato di un buon lavoro, non l’ultimo goal. Non faremo mai una campagna con l’obiettivo di vincere un premio, mentre abbiamo realizzato dei bellissimi lavori di cui siamo molto fieri che non sono mai stati riconosciuti nel circuito dei premi”.

 

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