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Conrad Bennett, technical services director, WebTrends
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Web 2.0, best practice makes perfect

09/10/2007

Attenzione all’effetto moda. Il web 2.0 non è la panacea per tutti i mali, bisogna conoscerlo e utilizzarlo per determinati obiettivi. Ma non solo. Anche i modi della sua valutazione sono specifici. Qui la page view poco dice, tante sono le differenti attività dell’utente. Non a caso, quel che serve, è innanzitutto capire perché e come sia arrivato sin lì.

A cura di Conrad Bennett, technical services director, WebTrends.

La tendenza comune oggi fra la maggior parte delle aziende è quella di creare un sito Web 2.0 per il solo gusto di averlo. Tuttavia, avere un sito web 2.0 giusto perché ‘è di moda’ è insensato e non porta alcun profitto all’azienda. La tecnologia Web 2.0 dovrebbe in genere essere utilizzata per minisiti o campagne specifiche, che possono essere indirizzati in modo mirato a un’audience definita. Persino diversi istituti bancari si stanno avvicinando all’idea di crearsi un sito in Flash o AJAX, anche se risulta difficile immaginare in che modo i contenuti generati dagli utenti potrebbero essere utilizzati nelle operazioni di banking online. Il Web 2.0, per definizione, si riferisce a comunità web e servizi come il social networking, i wiki e le folksonomy, che facilitano la collaborazione e la condivisione fra gli utenti.

Va inoltre ricordato che il Web 2.0 richiede un’evoluzione della metrica utilizzata per giudicare le prestazioni dei siti. Per molti siti Web 2.0, ad esempio, le page view come misura del comportamento dell’utente non sono più in grado di fornire una vista accurata del successo del sito stesso, poiché il concetto di pagine viste non ha più molto significato quando gli utenti possono compiere molte attività diverse restando sempre sulla stessa pagina: uploading dei loro contenuti, commenti a video di altri, indirizzamento verso i loro blog, ecc.
Anziché misurare le pagine viste, le aziende dovrebbero dunque misurare i visitatori unici, se vogliono trovare il modo di segmentare la propria base utenti in gruppi distinti in base al comportamento dei singoli.

In definitiva, la cosa più importante da considerare è comunque sempre la stessa: cosa spinge gli utenti a visitare il mio sito? Non quello che la vostra azienda vorrebbe che gli utenti facessero una volta approdati al sito, ma perché ci sono arrivati la prima volta?
Se non lo sapete - o non lo capite - le vostre strategie di Internet marketing non saranno in grado di raggiungere gli obiettivi sperati, che si tratti di search advertising oppure di spingere l’utente a compiere determinate azioni all’interno del vostro sito. 

Nel caso delle campagne di search advertising, ad esempio, serve a poco acquistare migliaia di keyword con la speranza di ‘attirare’ visitatori sul vostro sito se poi non siete nelle condizioni di poter misurare quali funzionano davvero…e non in termini di
semplice ‘incremento di traffico’, ma di conversione del visitatore in acquirente (conversion rate).

Può essere difficile uscire dai panni dello ‘sviluppatore ‘ o di ‘responsabile del sito” e iniziare a considerare veramente come la gente comune utilizza il vostro sito. I test sulla semplicità d’utilizzo rappresentano la prima tappa: ma non iniziate dall’home page. Iniziate da Google e navigate per un po’ esattamente come farebbe uno dei vostri clienti.

Cosa succede, ad esempio, quando Mario Rossi arriva al vostro sito e inizia a navigarlo? Da instancabile utente Internet, posso garantirvi una cosa: il vostro motore di ecommerce ha una sola chance di fare la cosa giusta. Se si ferma, mi reindirizza, mi ribalza altrove, perde il mio carrello della spesa o mette la mia pazienza a dura prova in qualche altro modo, starà a Google trovare per me un'alternativa a voi. Quindi, a meno che non abbiate il monopolio su quello che offrite, il vostro sito deve essere veloce, facilmente navigabile e assolutamente chiaro.

La tecnologia deve 'supportare' non 'dominare'. Quindi le aziende possono pure decidere di ridisegnare il loro sito secondo i dettami della tecnologia Web 2.0, ma solo a patto che un sito più coinvolgente possa davvero contribuire a incrementare gli utili.
In fondo, gli utenti di Internet non sono poi cambiati così tanto: certo sono attratti dalle cose che 'brillano', ma quando hanno un lavoro da fare, vogliono sempre poter interagire con strumenti rapidi e semplici da usare. 

Chi è Conrad Bennet
39 anni, una laurea in Genetica conseguita presso la Liverpool University, Conrad Bennet inizia la sua carriera professionale presso la United Biscuits di Liverpool, dove lavora a vari progetti, principalmente nell’area dei sistemi di produzione. Successivamente, entra in Cognos dove di occupa di prevendita. Nel 1998 è la volta di Hyperion e poi di Net Genvsis. Nel 2003, entra in WebTrends come Technical Service Director, con la responsabilità di supporto e prevendita per l’area Emea.

 

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