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La dicotomia non è tanto tra on e off line. In crisi è l’informazione tout court

09/04/2010

E’ quanto emerge come ultima sintesi della relazione ‘Il ruolo degli editori online: l’esperienza americana’, che Enrico Pedemonte, giornalista a lungo corrispondente da New York per l’Espresso, nonché conoscitore di interent e del mercato It (ascoltalo nell’intervista rilasciata a youmark) ha tenuto ieri a Milano, in occasione dello Iab Seminar 2010 dedicato al tema 'Social Media ed Editoria Online: relazione virtuosa o pericolosa?'. 

Insomma, non è colpa della rete se si vendono meno giornali. E lo dimostra il fatto che altrettanto non crescono i visitatori dei siti online dei medesimi editori (tra i siti di news preferiti al primo posto, con il 37% delle preferenze quelli di network televisivi, poi gli aggregatori, 21%, a seguire, di molto e con appena il 6%, i giornali nazionali) . Il tutto a discapito della qualità. Perché meno business significa meno risorse, dunque meno investimenti (negli Usa tra il 2000 e il 2009 si è perso oltre 1 miliardo e mezzo di investimenti nelle news, con il 2008 a segnare 828.000 articoli in meno rispetto a quelli che si sarebbero dovuti scrivere. Senza parlare dell’Italia, che non si dice, ma nelle redazioni si è licenziato eccome). Avendo ad esempio del tutto abbandonato il giornalismo d’inchiesta. 

E pure sul fronte della raccolta pubblicitaria il piatto piange. In America si è tornati ai livelli del 1985, a quota 25 miliardi di dollari, contro i 50 del 1999, pesando soprattutto l’assenza della pubblicità locale, assolutamente presidiata dalle nuove realtà online. Dalla ricerca personale a quella di abitazioni, dalle auto usate ai servizi. Dimostrando come la competizione non si stia giocando tra giornali on e off line, ma tra giornali e altro. Quasi che i ‘newspaper’ avessero perso quella forza di aggregazione tipica del tempo in cui si facevano testimonianza della vita delle comunità, soprattutto locali, ad essi connesse. 

E la notizia che, diventata ormai commodity, bene si sposa con il servizio che nuove realtà dell’online sanno garantire, oltre che con quella modalità di fruizione orientata all’unità atomica di informazione, alla stregua di quanto accade nella musica, con il ‘consumo’ di singoli brani, non più di autori o compilation. 

Lasciando aperto il tema di un modello sostenibile per il futuro. Consci che l’advertising da solo non basta più e che tentativi di farsi pagare per la lettura sembrano essere concessi solo a pochi (Financial Times, Wall Street Journal, Economist). Tanto che Pedemonte suggerisce l’ipotesi dell’ipergiornale, inteso come spazio che sa conformarsi all’attualità di una società non più dell’informazione, ma della comunicazione. Tenendo conto delle necessità locali, dei servizi, del bisogno di partecipare, intervenire, connettersi. 

Ma non solo. Negli Usa ci si è resi anche conto che per i giornali non esisterà più un mercato economico. Per sostenerli c’è bisogno dell’intervento dello Stato. Di finanziamenti pubblici, esenzioni fiscali. Di mecenatismo.


 

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