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Marco Cremona: “Non sono un enfant prodige”

10/09/2007

Tutti siamo potenzialmente creativi. La nostra pubblicità è brutta perché l’Italia non ha più grandi slanci culturali. In attesa di vincere altri due Leoni a Cannes, il direttore creativo esecutivo di TeamAlfa Marco Cremona racconta a youmark le sue ‘verità’. Low profile ma tranchant nei giudizi.

36 anni, un padre ‘importante’ alle spalle, una carriera iniziata nell’agenzia di famiglia per poi prendere il volo fino ad arrivare a S. Paulo e Los Angeles. Il ritorno a Milano lo scorso giugno come direttore creativo esecutivo TeamAlfa, sotto il tetto Young & Rubicam.

Cosa ti ha insegnato papà Alberto?
“Praticamente tutto. Ma, in particolare, il non essere orgogliosi delle brutte idee. Spesso, nel mio mondo, succede il contrario”.

E lavorare all’estero ?
“In Brasile ho imparato molto dal punto di vista creativo. La realtà sociale è composita e il pubblico a cui la pubblicità si rivolge vasto. Da qui la ricerca della sintesi e l’uso di un linguaggio comprensibile a tutti. Negli Stati Uniti ho lavorato per la prima volta per un unico cliente, Land Rover. Specializzarsi è una tappa importante del percorso creativo. Nel comparto auto lo diventa ancora di più. Ho anche imparato ad affrontare una campagna a 360 gradi, web compreso, grazie alla stretta collaborazione fra Young & Rubicam e Wunderman”.

Per Aldo Biasi la creatività non la possono fare tutti, solo pochi e selezionati talenti della natura. Non dalla professione.
“Tutti siamo potenzialmente creativi. Anche il barista può avere un’idea migliore della mia. La creatività va però sviluppata, altrimenti si atrofizza”.

Sebastian Wilheim e Maximiliano Anselmo, fondatori della Santo di Buenos Aires, in un’intervista che ci hanno rilasciato dichiarano che la pubblicità italiana è veramente brutta e old-fashioned. Dì qualcosa in nostra difesa.
“Posso solo confermare, perché è la verità. La nostra società è decadente e il nostro Paese vive di un passato glorioso ma ormai remoto. Non ci sono più i grandi slanci culturali. E questo in generale. La Milano degli anni ’70 era un punto di riferimento, oggi è una città seduta. Crediamo di essere una grande capitale, mentre in realtà siamo solo un piccolo borgo provinciale. La stessa Bueons Aires, a differenza nostra, è più aperta e curiosa”.

Con questi presupposti, perché sei rientrato in Italia?
“Perché la comunicazione Alfa Romeo viaggia in tutto il mondo ed è un incarico che mi consente di lavorare anche all’estero. Il che rende tutto meno claustrofobico. Senza dimenticare la ‘guida’ di Mark Bindloss Gibb, vice president Emea TeamAlfa, che guarda caso è inglese”.

In Italia ci sono i talenti?
“Ci sono, non viene data loro l’opportunità di crescere. Ai posti di comando ci sono sempre le stesse persone. Ma le ‘colpe’ non sono da una parte sola. Molti giovani, proprio per questa pigrizia di fondo, non vogliono ad esempio andare a lavorare all’estero per fare esperienza”.

Le scuole di comunicazione rappresentano un buon bacino?
“Le scuole servono solo a fornire i contatti. Vale più un mese di lavoro in agenzia che un anno trascorso sui banchi”.

Cosa ne pensi dei new media e di strumenti di comunicazione come il guerrilla o il viral?
“Sono fondamentali. Purtroppo qui vengono ancora considerati come creatività di serie B. Rappresentano un’opportunità in più che non stiamo sfruttando. Soprattutto per comunicare a target che fuggono e fuggiranno sempre più dai media tradizionali. E’ un treno che stiamo perdendo”.

I budget destinati al web sono però ancora esigui e non consentono grandi voli pindarici.
“Basterebbe, tanto per iniziare, che i clienti pagassero il lavoro a ore e non a progetto”. 

Da dove trai le tue ‘ispirazioni’?
“Cerco di assimilare il più possibile viaggiando e poi, come tutti, leggo, vado al cinema. Niente di speciale”.

Dove ti vedi fra cinque anni? Che traguardi vorresti raggiungere?
“Non faccio progetti perché le opportunità che ci capitano, spesso sono imprevedibili. Lavorare su Alfa Romeo è molto interessante e il nuovo corso Fiat sta dando buoni frutti anche in comunicazione. Dopo aver vinto due Leoni a Cannes come copywriter, mi piacerebbe vincere due Leoni come direttore creativo”.

Ti senti un enfant prodige?
“Assolutamente no. Non sono poi così giovane. All’estero ci sono direttori creativi di 25 anni”.

 

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