Senzamedia.com, il paradosso nel nome
20/07/2007
Nasce un sito che si presenta negando la propria natura. Per i promotori una scommessa con buone probabilità di successo. Per il mercato qualche se e qualche ma. Per gli ‘omologhi’ di oltre frontiera, un’idea di business che non sta in piedi se si pensa che a investire debbano essere le aziende presenti con i loro spot.
Londra, settembre 2006, nasce tellyAds (www.tellyads.com). Un portale che ad oggi raccoglie oltre 4mila spot nati nel Regno di Sua Maestà. Sono stati visti quasi 2 milioni e mezzo di volte. Milano, 18 luglio 2007, alla stampa si presenta Senzamedia.com, stessa impostazione, probabilmente ingolosito dai numeri, ma con una variante italica: dal gennaio 2008 è previsto che, pur se con cifre ridotte e comunque ancora da definirsi, le aziende paghino per poter avere i loro spot in posizioni privilegiate.
Peperoncino Studio, promotore dell’iniziativa, crede nella sfida e nel medio/lungo periodo si aspetta anche un ritorno economico. Viene però da chiedersi come possa essere considerato ‘senzamedia’ un sito che proprio di un media vive - internet - e che emula gli altri facendo pagare gli spazi, nello specifico, quelli in home page.
“Commercialmente lo è a tutti gli effetti”, dice a youmark Alberto De Martini, presidente di Red Cell Group, partner dell’iniziativa. “Il nome vuole più che altro indicare che lo spot viene svincolato dal suo contesto, diventando se stesso contenuto”.
Resta poco chiaro perché un’agenzia di pubblicità decida di legare la propria presenza nel web con un’iniziativa di questo tipo. “Per noi Senzamedia.com è un cliente. Ne abbiamo curato la grafica, ma abbiamo anche fiducia nel progetto, di cui sposiamo l’idea”. Il che si traduce in un’eventuale condivisione dei ricavi. Forse è per questo che, come spiega lo stesso De Martini: “I clienti Red Cell saranno fortemente consigliati ad esserci”.
Chi, per ora, non ne sembra molto affascinato è Gianluca Buzzegoli, responsabile marketing e comunicazione Fonti di Vinadio, che con il brand Acqua Sant’Anna di soldi in Tv ne investe proprio tanti. “Si continua a ripetere da anni che gli spot per il web debbano nascere e vivere di vita propria, perché quelli creati per il piccolo schermo non rendono se ‘spalmati’ altrove. E poi c’è il problema dell’affollamento. Perché pianificare in un sito dove la tua campagna deve convivere fianco a fianco con tante altre senza un minimo di contenuti”?
Mentre, per le multinazionali, come sottolinea Marco Del Checcolo, head of institutional affairs adidas Italy, bisogna tener conto di un altro limite: il dover seguire le direttive internazionali che riguardano il media mix e l’impossibilità di poter decidere autonomamente in che contesti media essere presenti.
Che l’affollamento possa rappresentare un problema lo rileva anche Elena Fedeli, digital director Omd: “Mi sembra un po’ azzardato proporre a un cliente di pagare la presenza in un contesto che ha per mission solo quella di mettere online gli spot. E’ anche vero, d’altra parte, che a cliccare saranno solo le persone interessate. Se, invece, vogliamo intendere lo spot come vero e proprio contenuto, forse avrebbe più senso se si proponesse solo il meglio del meglio”.
Intanto, forte del suo successo, Jon Cousins di tellyAds ci spiega che se è un’ottima idea creare siti di questo tipo ‘free’, lo è molto meno aspettarsi che gli spender paghino per essere presenti con i loro film. E aggiunge: “Non abbiamo mai ipotizzato di farli pagare e tanto meno lo faremo in futuro. In un sito come il nostro si può guadagnare in molti altri modi. Ad esempio, fornendo gli spot su Dvd a chi deve visionare un archivio o condurre ricerche. Questa è l’epoca di YouTube ed è anche l’epoca in cui un sito free gestito da una sola persona, www.plentyoffish.com, è stato capace di raccogliere più iscrizioni di tanti siti a pagamento. C’è di buono che internet è democratico. Ognuno ha le stesse probabilità di avere ragione o torto”.
Molto più lapidario Ivan Raszl, di Ads of the World (http://www.adsoftheworld.com): “Non credo che un modello di business basato sul fatto che per essere presenti con i propri spot si debba pagare possa ottenere grandi risultati, perché nessuno, oltre alla community dei pubblicitari, è disposto a trascorrere il proprio tempo guardando dei noiosissimi spot. Se, invece, gli spot sono buoni, girano comunque in rete. Senza pagare alcunchè”.
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