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Il video delle opere CERES4ART


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Mario Vinciguerra, direttore marketing e trade marketing Ceres


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Alessandro Pianca


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Stefano Bolcato


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Andy onora l'opera di Francesco De Molfetta
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CERES4ART: ubriacarsi d’arte

03/04/2009

Che è poi uno dei mondi Ceres. Insieme alla musica, sfruttata in modo meno marcatamente trasgressivo nell’ultimo spot, per allargare lo spettro del coinvolgimento. Basilarmente concentrato negli over eighteen, scegliendo quelli cui piace vivere. Alla grande. E, nonostante l’inclemente quadro di recente emerso da una ricerca Eurisko sui nostri giovani, a giudicare dai numeri del business Ceres ad ambire a un’esistenza oltre la 'normalità' sono in realtà molti. Tanto che i primi mesi di questo 2009 parlano di crescita del fatturato, maggiormente forte nel canale Horeca. E pure della pubblicità, destinando in comunicazione il 20% in più dell’anno scorso. Youmark ha fatto un salto all’inaugurazione della seconda edizione di CERES4ART, ieri a Milano. 

E ci sarebbe piaciuto intervistarli tutti i venti artisti che hanno dato vita alla manifestazione, ma ci siamo dovuti ‘accontentare’ di quelli al nostro arrivo lì presenti. Accontentare per modo di dire, nel senso che la scelta non poteva essere più appropriata. A partire da Andy, che ha anche voluto onorare il suo preferito Francesco De Molfetta, seguendo Alessandro Pianca e Stefano Bolcato. Tutti a raccontarsi al microfono di youmark. Di cui si è servito anche Mario Vinciguerra, direttore marketing e trade marketing Ceres, per entrare nel vivo delle strategie di questo brand.

I venti artisti che hanno partecipato, il titolo della loro opera e la loro biografia 

Andy - Giochi d’altri tempi -
Nasce a Monza nel 1971. Dopo le scuole dell'obbligo si diploma all'Istituto d'Arte di Monza, specializzandosi nel ramo della grafica pubblicitaria e dell'illustrazione presso l'Accademia delle Arti applicate a Milano. Contemporaneamente sviluppa la sua attenzione nei confronti della musica, studia il saxofono e i sintetizzatori (tastiere) collaborando al progetto musicale Bluvertigo, una band che propone al mercato italiano un suono anglofilo basato sulla commistione tra elettronico e suonato. Dopo anni di tournée, apparizioni televisive ed implicazioni discografiche Andy si propone oggi in diversi ruoli, cercando di unire diverse forme di espressione artistica: dipinge grandi quadri New pop fluorescenti su tela, compone colonne sonore per la danza contemporanea e il teatro, mixa la musica new wave degli anni ‘80 nei club e nelle piazze come dj. Il tutto sotto lo stesso punto di vista il reset. “Un pittore di Monza, prestato alla musica, che assomiglia a David Bowie, che è cresciuto disegnando e suonando, che, da bravo ragazzo nato negli anni 70, ha mangiato pane, nutella, sofficini, cartoni animati e telefilm, è divenuto uno dei più interessanti giovani artisti italiani ed uno dei portabandiera della cultura New pop.(…) L’uso sfacciato del colore, l’utilizzo delle lampade blu per far risaltare la fluorescenza dei toni, l’aspetto a tratti nostalgico e spettacolare delle immagini e, l’intento quasi invasivo della sua arte, quella tendenza a inglobare gli oggetti e i luoghi che gli stanno intorno. (…) Nelle sue opere, infatti, confluiscono elementi derivanti dalla cultura dei cartoons, delle serie tv, dalle icone della società contemporanea, con una forte attenzione, a tratti un po’ nostalgica, per l’immaginario legato alla cultura degli anni ottanta. Andy si rapporta con un passato a tratti prossimo ed a tratti remoto rileggendolo in maniera ironica, raccogliendo e reinterpretando tanto l’eredità di Marcel Duchamp e della pop art quanto quella della tradizione artistica italiana. (…)” Testo di Igor Zanti da “Fluon Capriccio”

Stefano Bolcato - Ceres by night -
Nasce nel 1967, vive e lavora a Roma. Ha iniziato come autodidatta con il disegno alla fine degli anni Ottanta, negli anni Novanta ha seguito studi accademici tra i quali la Scuola Libera del Nudo all’ Accademia di Belle arti di Roma, con Alfonso Avanessian, e la Scuola delle Arti Ornamentali con Giovanni Arcangeli. Attualmente la sua ricerca personale si muove lungo due diversi percorsi: uno propone il paesaggio e l'architettura come pretesto figurativo, combinando l'uso sincero del colore ed elementi di mistero le tele offrono atmosfere dal gusto metafisico, diventano scenari per un' indagine introspettiva; l'altro riguarda la rivisitazione in chiave pittorica di un mondo piccolo, per certi versi infinito, che appartiene all'infanzia, ma non solo, evidentemente. L'autore, ponendolo sotto un’originale lente di ingrandimento, ritaglia scene dal contenuto sociale, intimo, scorci di quotidiano realismo. La forza di queste tele, oltre che nel contenuto, sta nella vivacità dei colori, nel taglio ravvicinato dei primi piani che chiamano in causa lo spettatore. “Stefano Bolcato dal 2007 sperimenta un certo stile Pop nella sua pittura contemporanea. Lasciati per ora i paesaggi malinconici e le architetture singolarizzate, oggi fa esplodere sulla tela un figurativo volumetrico di colori acetati che ritagliano e scandiscono un mondo parallelo lucido e industriale.(…) Cosa fanno questi pupazzi? (… ) Ai giocattoli viene dato l’inconsueto ruolo d’interpretare una nuova Comédie humaine come nell’Ottocento facevano le illustrazioni di Berta per Honoré de Balzac. Bolcato prepara le sue scene di vita costruendo delle performance di veri modellini LEGO che vengono fotografati per creare, successivamente alle foto, i dipinti ad olio e acrilico. Partecipa egli stesso quindi a una cronaca spicciola, veloce, fatta di rapide nozioni la cui lettura non deve superare i due minuti… il tempo di una fermata del metrò. (…)” Tratto dal testo di Fabio Pinelli per la mostra “Big Bang”

Linda Carrara - Cosa c’è - 
Nasce a Bergamo nel 1984. Diplomata all’Istituto Statale d’Arte di Monza, prosegue gli studi laureandosi all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano) in decorazione al Dipartimento sperimentale di Arte Contemporanea con il professor Vincenzo Ferrari col quale ora collabora come assistente di studio. Vive e lavora tra Bergamo e Milano. Dicono del suo lavoro: “Persone ridotte a personaggi apparentemente manipolati ed intrappolati sul palcoscenico, costretti ad interpretare un ruolo in un contesto fuori da ogni tempo o a rimanere passivamente in disparte come semplici comparse mute. Sorrisi di carta, occhi deliranti, sguardi assenti, posizioni assorte, sprezzanti o di difesa che cercano di sopportare ad oltranza un copione scritto da altri; sono personaggi che si guardano o si lasciano guardare, riflessi in uno specchio introspettivo che sottolinea il disagio inciso dal vissuto. Volti incerti protetti da unamaschera o gusci che devono ancora schiudersi e resistono alla metamorfosi. Storie quotidiane ed esperienze comuni che cercano di sottolineare il nostro vivere individuale. La traccia dell’IO che vuole assolutamente mostrare e testimoniare la propria presenza, facendo della propria vita un film nel quale noi e soltanto noi siamo i protagonisti e tutto il resto della popolazione si tramuta in una miriade di comparse, più o meno importanti.” (Paolo Corno)

Nicola Del Vigo - Senza titolo - 
Nasce a La Spezia nel 1975 e vive e lavora tra Milano e Bologna. Attualmente collabora con Allen Gallery (Torino) e Grafique Art Gallery (Bologna). Dice di se stesso e del suo lavoro: “Quattro di notte, dietro il bancone del locale dove lavoro. Il locale è semivuoto, semibuio. Davanti a me una donna si guarda intorno, è seduta, un braccio poggia sul bancone e con le dita sminuzza il sottobicchiere del suo negroni. Ha i capelli scuri, il trucco nero sugli occhi le sta scivolando giù, le labbra sono di un viola pallido, l'orlo del bicchiere ha la traccia pastosa del suo rossetto. La osservo mentre lavoro, cercando di non farmi notare. Non voglio che se ne accorga... che cambi il suo atteggiamento. (…) Queste sono le mie 'prede'. Osservo le persone e mi faccio su loro mille domande (…) Vivo degli sguardi della gente. (…) L'abitudine di farmi tante domande sulle persone che incontro mi guida nella creazione dei quadri. Cerco di procurarmi più immagini possibili dei soggetti che mi piacciono, perché una fotografia soltanto non mi basta per capire i loro sguardi, la curvatura del naso, la linea delle labbra, la struttura generale del viso, i particolari che li caratterizzano. Poi amo parlare con le persone che sto per ritrarre (…). Per creare un'immagine viva, che se la guardi ti senti studiato a tua volta, devo fare in modo che un viso non sembri quello che è, ma che sia quello che è: un insieme di ossa, carne, sangue, odio, paure, amore, ricordi. (…) Non uso solo i colori, ma le dita, la matita, il pastello. Prediligo il bianco, il rosso e il nero. Quando raggiungo un risultato che mi soddisfa faccio ingrandire l'immagine (…) L'idea del gigantismo la devo, in parte, a un libro di Ray Bradbury (Fahrenheit 451), in cui si immagina un futuro dove la gente va talmente di corsa che i cartelloni pubblicitari, per essere notati, sono lunghi centinai di metri. (…) Mentre lavoro nella fase di sovrapittura, amo macchiarmi di colore e dipingere con le mani come se mi sporcassi del sangue del mio avversario, impegno tutti i miei sensi, uso il mio corpo per dare forma agli impulsi della mente. (…)”

Francesco De Molfetta - piaCERESi -
E’ nato nel 1979, vive e lavora a Milano. “L’opera di Francesco De Molfetta colpisce soprattutto per l’immediata leggibilità che la contraddistingue e per l’ironia che la caratterizza. Un’ironia a volte estrema, irriverente, che fa piazza pulita di luoghi comuni e facili/falsi moralismi. Emblematica la figura dell’imbianchino che ricopre definitivamente oggetti e parole come unica possibilità rimasta di fronte all’inevitabilità degli eventi. Il giovane artista assembla piccoli oggetti di uso quotidiano con personaggi recuperati da giocattoli e da minuteria da modellismo creando situazioni allo stesso tempo divertenti e spiazzanti, che vivono del paradosso rappresentato. Un paradosso neanche tanto lontano, se vogliamo, dalla vita vissuta, con più o meno affanno, quotidianamente. Personaggi che sembrano impassibili nel compiere le proprie azioni, ignari delle conseguenze dei loro atteggiamenti. De Molfetta gioca con le parole, sul loro significato e rappresentazione, destabilizza, ironizza sulle nostre paure e sul quel senso di precarietà e pericolo che ora più che mai ci accompagna inseparabile. L’equilibrio instabile di una situazione precaria viene anche rappresentato distorcendo, alterando all’inverosimile le proporzioni reali tra gli oggetti e gli omini che ci raffigurano, su di una punta di un enorme pugnale o su di una fune al di sotto della quale un alligatore o uno squalo (allegoria della vita?) non aspettano altro che un nostro passo falso. L’artista immagina un paesaggio in bianco e nero dal cui cielo grigio fuoriesca un deltaplano colorato, pattinatori che si esibiscono su cubetti di ghiaccio, una torta nuziale che nulla di buono fa presagire sul futuro degli sposi. Semplici allegorie o dati di fatto? Meglio non pensarci o per lo meno scegliere quali di queste situazioni si confanno di più alla nostra indole. Personalmente, pur non sapendo nuotare, opterei per fare surf sulla cresta dell’onda di Hokusai. Male che vada annegherei divertendomi. Ma non è forse questo lo spirito che caratterizza il lavoro artistico di Francesco De Molfetta?”. Testo di Alessandro Trabucco 

Fidia Falaschetti - Ceres… c’è - 
Nasce a Civitanova Marche (Mc) nel 1977. Cresce in una famiglia di artisti, che lo porta ad una naturale e viscerale propensione verso l’arte, alla necessità di vivere con e per l’arte. Segue studi artistici, si avvicina al fenomeno della street art e parallelamente, al mondo del fumetto e riscuote successi nell’ambito dell’aerosol art. A 20 anni inizia l’Accademia di Belle Arti ma è fermamente deciso a diventare un grafico e, da completo autodidatta, comincia questo percorso parallelo agli studi accademici. Per i successivi 7-8 anni collabora con il marchio Combo-ComboBella del gruppo Fornarina e lavora anche da libero professionista come: illustratore, art director, fotografo di moda. Terminata l’Accademia, lo studio intenso dei fenomeni delle arti contemporanee toccano nella coscienza di Fidia dei tasti sino a quel momento rimasti nascosti e impolverati. Si discosta lentamente dall’eclettica carriera di grafico-fotografo-scenografo-designer-creativo, cercare di dar forma a delle esigenze che l’attualità e il contemporaneo stimolano ad ogni visione di ciò che lo (e ci) circonda diventa l’unica urgenza. La concentrazione ora è tutta sull’espressione, sulla ricerca, sulla lettura della quotidianità e sulle possibili proiezioni della stessa attraverso il proprio agire. Tra i canali espressivi, dapprima, il video prende il sopravvento e si manifesta con la realizzazione del suo primo cortometraggio che riscuote un ottimo successo nei festival di settore ma, per l’artista diventa la manifestazione esterna della chiusura di un ciclo e l’inizio di un altro. Si fa promotore di un collettivo artistico a cui ironicamente attribuisco il nome di MYali. Il gruppo diventa il presupposto per dar vita ad alcune mostre collettive e per creare momenti di confronto tra artisti che ne fanno parte e, per Fidia, diventa la preziosa opportunità per realizzare opere ed installazioni. Oggi si dedica a cercare delle connessioni tra ciò che vede, ciò che emerge dal suo operato, e ciò che tutto questo rimanda di riflesso alla sua esistenza. Si esprime creando opere che provano a dialogare con chi osserva, quasi come se ogni nuovo pezzo fosse indipendente e distaccato dall’artista: una sorta di figlio concepito e pronto ad un confronto con gli altri ed anche con chi gli ha dato i natali 

Manuel Felisi - Senza titolo  -
Nasce nel 1976 a Milano, dove vive e lavora. “Una sensazione straniante e al contempo rassicurante ci coglie dinanzi alle opere di Manuel Felisi, la stessa che proviamo all’occasione di un déjà-vu; le sue sono immagini già conosciute, conducono in situazioni che pare di aver già vissuto almeno una volta, eppure proviamo stupore. I suoi scatti fotografici nascono da viaggi nel quotidiano e, senza pretese di qualità, riguardano tutto ciò che almeno da quell’istante inizia ad appartenergli e trova posto nella sua memoria, nella sua storia per aver coinvolto il suo sguardo e attratto la sua attenzione. C’è molto più di uno scatto fotografico, le opere sono il risultato di una stratificazione compiuta attraverso metodi tradizionali e digitali: la pittura “santifica” la tela e la prepara ad accogliere la fotografia donando motivo di attenzione ad angoli di mondo altrimenti solo distrattamente percepiti; lo strato decorativo è regalato da vecchie stoffe floreali o da rulli in silicone, oggetti già intrisi di memoria propria ma che appartiene anche a tutti noi, usati un tempo per soddisfare umili desideri di bellezza. Infine la fotografia, stampata sulla tela come a sigillare il tutto, la modernità che protegge la tradizione da cui è accolta senza esserne vittima. La fotografia di Felisi nasce come attimo biografico ma la capacità eternante della pittura ne sancisce il valore di memoria collettiva. (…)” Testo di Giancarlo Pedrazzini

Eugenia Garvaglia - Miss Ceres 2009 - 
Nasce a Magenta nel 1981. Dopo aver frequentato studi accademici ed essersi laureata presso l’Accademia di Belle Arti Brera, orienta i sui interessi sul mondo dell’illustrazione frequentando un corso allo IED Istituto Europeo del Design. Persona poliedrica, spazia dalla scultura, alla pittura, alla decorazione. Le sue creazioni prendono vita da uno stampo dove si fondono la serenità dell’illustrazione per l’infanzia e il cinismo del surrealismo pop; dove la simbiosi che si crea tra il mondo animale e quello umano ne è la chiave di lettura. “Per la scultrice Eugenia Garavaglia l’atto di costruire l’oggetto passa in primo piano, rispetto all’atto di raffigurare un’immagine. Pino Pascali diventa un vero e proprio punto di svolta, l’artista così vuole elaborare ed imporre una propria e personale iconografia. La profonda sensibilità e la straordinaria fantasia di Eugenia Garavaglia contrassegnano un preciso ritorno al soggetto umano (le donne) e alla natura (animali), senza fermarsi a prevedibili assemblaggi ed esperimenti antropomorfi. Le sue opere sono una precisa testimonianza di un bisogno diffuso di compensazione e di riscatto nei confronti di una civiltà troppo meccanicizzata e repressiva.” Testo di Cristina Ruffoni 

Davide Mancosu - La sbirra  -
E’ nato a Biella nel 1970, vive e lavora a Milano e da diversi anni affianca, alla sua attività di art director in importanti realtà internazionali, il suo impegno come artista. “(…) In ambito artistico, una sincera e disincantata analisi del divismo e del valore dell’icona come simbolo assoluto è stata fatta, a partire dagli anni sessanta del Novecento, da Andy Warhol. Warhol è stato forse il primo che abbia compreso come i divi del cinema e i personaggi del jet set incarnino nella società contemporanea lo stesso ruolo che santi, condottieri, regine, e personaggi mitologici hanno incarnato nei secoli passati. (…) Non bisogna però dimenticare che il lavoro di Warhol, pur essendo innovativo, è frutto di un’acuta osservazione della contemporaneità (…). Forse, a distanza di circa quarant’anni, uno degli artisti che ha raccolto con consapevolezza la lezione warholiana è stato Davide Mancosu. (…) L’artista fa una riflessione sul valore del mito e del sacro nella società contemporanea e dall’accettazione del dato che, nel mondo dell’immagine e della comunicazione veloce, l’antico e tradizionale pantheon che per millenni ha influenzato la cultura occidentale, nel giro di meno di un secolo, è stato completamente rinnovato e sostituito. Mancosu ha individuato una serie di personaggi femminili che, per stile di vita, impatto emotivo sul pubblico, vicende biografiche, sono diventati delle vere e proprie icone della società contemporanea. Rispetto a Warhol, però, Mancosu si spinge oltre, interrogandosi sul nodo fondamentale che risiede nel passaggio tra diva e icona. L’icona, per il nostro artista, ruba al personaggio in carne ed ossa l’umanità, e tende ad accentuarne solo alcune caratteristiche, vi è quindi un processo di disumanizzazione che lo porta a creare, non tanto, dei ritratti di icone contemporanee, come aveva già fatto in passato Warhol, quanto, una trasfigurazione in chiave ludica, una riduzione nei termini del fantoccio o della bambola. (…)” di Igor Zanti - Tratto dal testo per la personale Jet Set 2009

Marco Marini - Sogno proibito del 'tappo' dal gusto esclusivo - 
Nasce nel 1968, vive e lavora vicino a Brescia. Game over “In apparenza Marco Marini si connota come iperrealista, in realtà la sua operazione è estremamente più complessa ed è precisa come un’analisi di laboratorio. L’oggetto dell’analisi è la struttura dell’immagine e la sua ricostruzione, che avviene isolandola e riproducendola pittoricamente. La scelta dei soggetti estremamente connotati, nudo erotico, bambina con giochi, serve all’artista per recuperare il loro archetipo, anticipando l’immagine mentale che il fruitore ha di essi. Il soggetto è quello che il lettore s’immagina e non l’immagine imposta dall’artista. E’ un gioco mentale, senza le imposizioni e il distacco di alcuni artisti concettuali e d’avanguardia delle precedenti generazioni, ma condotto con sottile ironia e finalmente condiviso con chi guarda. La donna con i tacchi a spillo è tutt’altro che sensuale e potrebbe avere significati diversi; in una società tecnologicamente avanzata e nell’era digitale dove ogni prodotto ha il medesimo grado di valore, non ci sono prodotti privilegiati e ad attribuire un valore estetico non è l’artista, ma il normale consumatore. All’artista Marco Marini non interessano le analisi dell’immagine della comunicazione di massa, di esaltazione di Lichtenstein o di disfacimento di Warhol: due intellettuali autorizzati dal sistema. Nulla è previsto o prevedibile, nessun codice o genere di riferimento, una ricerca che cerca il confronto e contatto diretto, non si prende mai troppo sul serio e le boccacce dell’autoritratto, sono la più autentica testimonianza.” Testo di Cristina Ruffoni

Andrea Marrapodi KIV - Ordine Disordine - 
Nasce nel 1980 a Roma, dove tuttora vive e lavora.Già in tenera età si appassiona al disegno e alla pittura, intraprende con successo gli studi artistici fino al diploma accademico conseguito, con il massimo dei voti, presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma nel 2005. Ha approfondito studi sulla pittura murale nella storia dell'arte con particolare attenzione al ‘900 , dai movimenti muralisti, ai fenomeni artistici popolari e alla street art. Il suo lavoro affonda le radici in un’esperienza decennale nei graffiti che, iniziata nel ‘95 come gioco , ha finito per divenire vero e proprio veicolo espressivo. Pur rimanendo legato a questo contesto, ha cercato negli anni una via d’uscita dal codice autoreferenziale e astratto del writing, per accostarsi a rappresentazioni figurative. Gli studi accademici nel campo della decorazione hanno influenzato il suo modo di lavorare e lo hanno portato lontano dall'intervento estemporaneo ed improvvisato. Gran parte dei suoi soggetti sono concepiti per divenire grandi pitture parietali integrate con l’ambiente circostante. Le modalità di intervento sono moderne (resine smalti e acrilici) sebbene nei suoi studi abbia appreso le tecniche classiche dell'affresco e dell'encausto. Parallela e complementare alla pittura murale, la sua ricerca pittorica, affronta vari linguaggi e tecniche: dall' incisione tradizionale allo spray, dall'olio all'acrilico, la grafite, l'acquerello, le terre. Le scene che rappresenta nei miei dipinti descrivono la quotidianità delle periferie romane, il traffico, la tangenziale, i tram, in un’iconografia urbana in cui la figura umana è quasi assente

Teresa Morelli - L’ultima Ceres - 
Nata a Genova nel 1978. Vive e lavora a Milano. Nel 1997 si diploma presso il Liceo Artistico Paul Klee di Genova e continua gli studi artistici presso lo IED di Milano dove si diploma nel 2000. “(…) Irride pure lei, beata tra le donne. Beata, nel senso che se ne frega della decenza. Tra le donne, nel senso che le osserva e le disseziona con la giusta cattiveria femminile e non gliene lascia passare una (ma neanche agli uomini, anzi! e neppure ai mezz'e mezzo, vedi il suo strepitoso trans abbigliato da Biancaneve alle prese con una mela-cuore assassina). Irride, nel senso che il suo sguardo brilla di allegra cattiveria ogni volta che qui o lì riesce a cogliere un qualunque peccatuccio di vanità, di orgoglio, di presunzione, di superficialità. Con tratto libero neopop, sovranamente incurante delle belle maniere, racconta una realtà volgaruccia e sconclusionata come se si fosse in un cartone animato o in un fumetto. Anche la sua pittura sghemba, dunque, deliziosamente pettegola, è definitivamente contemporanea." Testo di Ferruccio Giromini

PAO - Ceres, Dea del raccolto -
Nasce a Milano nel 1977 dove vive e lavora. Inizia in teatro come macchinista, fonico e tecnico di palcoscenico per la compagnia di Franca Rame e del premio Nobel Dario Fo, successivamente studia e lavora presso i laboratori del Teatro alla Scala di Milano. “Dal 2000 è finito sotto i riflettori: trasforma uno dei tanti paracarri stradali di Enzo Mari in qualcosa di diverso; un' opera decontestualizzata, istintiva, lontana dai canoni dell'arte da galleria e vicina al mondo frenetico della città, un essere simbolico, dal tratto pop, che presto conquista la simpatia dei passanti: nasce il primo pinguino urbano. Ne seguiranno poi molti altri, assieme ad un intero mondo fantastico, dove angoli desolati del panorama cittadino diventano piccole isole di colore. Le sue sculture nascono dall'attenta osservazione della società contemporanea e della grigia staticità della Milano quotidiana, alla quale l'artista risponde con colori squillanti con cui caratterizza le sue opere. I pinguini PaoPao, persi nel contesto urbano dove sono nati, si pongono in relazione diretta con il proprio pubblico e lo accompagnano all'interno del mondo brulicante delle nuove tendenze dell'arte underground milanese. Ancora oggi dopo essersi fatto un nome, esce di casa con le sue bombolette spray per dire al mondo che la street art non è vandalismo, ma in taluni casi creatività come la sua. «Imbrattare, significa sporcare e rovinare. La street art non rovina e non imbratta, ha una sua etica. Se mai abbellisce la città. O cerca di farlo. Perché ha un suo concetto dello spazio pubblico.» «Non ho il culto dell’illegalità. Lavoro a viso scoperto: di giorno, di notte, perché solo gli elementi di rottura portano i veri confronti sociali. Io non ho niente da nascondere. E non mi ritengo un vandalo. Non ho mai imbrattato i muri; ho sempre cercato di scegliere con cura le superfici su cui esprimermi (…) privilegiando oggetti che appartenevano alla collettività, tipo appunto i panettoni oppure i luoghi grigi senz'anima. Perché l'anima cerco di trasmetterla io».” Testi tratti da "La street art è pubblica, vogliamo creare nella legalità" di Ambra Craighero 

Alessandro Pianca - …bacio -
Nasce a Torino il 30 novembre 1974, vive e lavora a Biella. Caramelle da uno sconosciuto “(…) L’artista torinese ci pone di fronte ad “attimi” di vita vissuta di cui rimangono solo dei ricordi. Esistono degli spunti di carattere iconografico desunti direttamente dall’immaginario dell’artista che non sono caratterizzanti, non si pongono come un canovaccio su cui l’azione trova il suo svolgimento, ma sono elementi che tendono a creare una sensazione puramente ambientale, che permetta ai soggetti/oggetti dell’azione di esprimersi liberamente, integrando tali spunti all’interno di una visione più ampia. La modella assume un doppio ruolo attivo/passivo, divenendo co-protagonista nella relazione che nasce dall’incontro con l’artista ed, al tempo stesso, oggetto su cui l’artista stesso riversa il suo immaginario. (…) Il supporto trasparente, che alleggerisce l’immagine rendendola evanescente, creando l’ambiente in cui viene esposta uno stretto nesso semantico, la rielaborazione fotografica per immagini sovrapposte, che pur rinunciando ad un’immediata leggibilità, si rivela evocativa della sostanza del ricordo e, da ultima, la scelta di utilizzare in senso strettamente pittorico il mezzo fotografico, accentuandone le opportunità cromatiche e negandone volutamente la riproducibilità, contribuiscono a creare una sorta di documentazione mnemonica del vissuto nel tentativo, a mio parere pienamente riuscito, di parafrasare anche fisicamente il concetto del ricordo. (…) Pianca ci porta all’interno di una realtà marcatamente ludica di vaga ascendenza pop, dove il colore assume un profondo significato evocativo e dove confluiscono frammenti dell’immaginario dell’artista, con evidenti riferimenti alla cultura figurativa degli anni sessanta ed ottanta ed all’iconografia del fumetto e dei cartoons. (…)” Tratto dal testo di Igor Zanti per Xtrawberry flavour 

Serena Piccinini - Birronte -
Nasce a Bologna nel 1977, dove vive e lavora. E’ laureata in Pittura all'Accademia di Belle Arti di Bologna e in Scienze Antropologiche all’Università di Bologna. “ (…) Penso per immagini e con le mie opere desidero regalare uno sguardo sul mondo fatto di candore. Ricerco la leggerezza e il movimento, il fluttuare di elementi piccoli e mobili senza mai svelare il mistero che li circonda». Così si racconta Serena Piccinini, autrice di allestimenti che alludono al mondo onirico delle fiabe, (…). L’artista conferma la sua vocazione per l’arte dell’origami, interpretata con un occhio contemporaneo ma con la poétique de la reverie rubata ad autori come Saint-Exupéry e Bachelard. «Purezza e semplicità, due punti irrinunciabili. Amo i materiali poveri – la carta, il cartone, il legno naturale, i materiali plastici – e tutto quello che si può facilmente manipolare.” Testo tratto da “Origamiavento” di Franco Marchesi – Elle Decor “ (…) Serena Piccinini piega piccoli rettangoli di carta, gioca a nascondino con la natura alla ricerca dell’infinitamente bianco, che smaterializza i contorni e rende possibile il Tutto. Come ispirata da una divinità agreste perfettamente intergrata nella cultura contemporanea, l’artista sembra far affiorare un sostrato imbevuto di fiabe, attente a non dichiarare mai la loro identità. Pur regalando alle sue opere una dimensione tridimensionale ed installativa, l’impressione è quella di rimanere nel contesto del quadro, che dimostra le sue qualità sensibili, lasciandosi toccare o, al bisogno, ascoltare: un minuscolo grillo che per farsi notare deve salire su una scala – microscopica anch’essa - e una mantide religiosa, col suo naturale abito “da sera”, che suona un pianoforte. (…) Testo di Viviana Siviero - Espoarte

Federica Roncaldier - Biopsia - 
Nasce a Milano nel 1984, dove vive e lavora. Dopo la maturità classica si iscrive all'università statale di Milano a Scienze dei beni culturali con indirizzo cinema teatro ma, “E' strano a volte come una passione possa nascere dal più semplice e scontato dei gesti: prendere in mano una macchina fotografica e iniziare a guardarci dentro alla ricerca di se stessi. Ero all'università e per quanto mi piacesse l'indirizzo che avevo intrapreso continuavo a non sentirmi appagata, sentivo la necessità di qualcosa di pratico di qualcosa che potessi creare da me, di qualcosa che potessi usare come sfogo e come mezzo di espressione; tutto questo bisogno era latente ed io per prima non ne ero consapevole fin quando un giorno per caso ho deciso di andare al cimitero monumentale con la mia piccola macchina fotografica; era davvero la prima volta che provavo guardare la realtà attraverso quel foro, ne rimasi affascinata. Mi sono poco a poco sempre più lasciata andare, ho preso dimestichezza e ho iniziato a sperimentare per me, quell'apparecchio era in grado di catturare stati d'animo. Circa un anno dopo lascio l'università e decido di intraprendere il corso e di fotografia all’Istituto Europeo del Design dove ho acquisito tutto il background tecnico che mi mancava per poter tramutare la mia passione, nella mia professione.” Negli ultimi anni ha lavorato come reporter per Milano Film Festival organizzato da Esterni e collaborato sovente con Matteo Cirenei (art director, fotografo e artista) e Gianguido Rossi (fotografo di moda). Da settembre 2008 ha lavorato nello studio di Pietro Carrieri, fotografo di architettura e design, come assistente digitale (postproduzione, fotoritocco e stampa) e da gennaio 2009 è impegnata sull’archivio di Ugo Mulas come restauratrice digitale di immagini d'autore

Soliman - R’n’R Toy Ceres - 
Nasce nel 1977 in provincia di Venezia. Disegna da quando era bambino e all'età di 16 anni si affaccia al mondo della street art come writer. Dallo stile di strada passa alle illustrazioni per pura passione, dandosi l'acronimo Mr.Lover creando personaggi bizzarri ed accattivanti. Dipinge per un po’ di anni con questo soprannome, poi decide di far diventare Mr.Lover un marchio e i suoi personaggi dei toys, che prendono vita anche come gadget o stampati su t-shirt. Parallelamente coltiva la sua altra grande passione artistica: la musica, che influenza anche la sua creatività pittorica. Da vita ad una sua band, gli Zero Signal che riscuote un certo successo ed i loro video sono stati trasmessi anche su MTV ed All music; attualmente fa parte di altre due band Knife con la quale sta realizzando un nuovo video e, Vault 13 per la quale sta lavorando a 5 toys umanoidi movibili tramite telecomando che serviranno per un futuro video e interviste filmate. Nell'autunno del 2007 incontra Giovanna Camporese, toys designer creatrice di Sfigatto, attualmente collaborano al progetto rock'n'roll toys nato dalla passione e dalla contaminazione tra musica e street art. Nel giugno 2008 evolve verso un nuovo stile di illustrazione, disegnare e colorare e così la sua pseudo identità: da Mr. Lover il nome d'arte muta in Molecola. In continuo movimento ed evoluzione ora, sta creando una nuova serie di opere tridimensionali dove fonde le sue illustrazioni e lo stile dark su scultura. Da anni espone come illustratore e toys designer

Silvia Viganò - Ceres couture - 
Nasce nel 1978 nella provincia di Milano. Dopo il liceo artistico si laurea all’Istituto Marangoni di Milano in fashion design. Per un periodo di tempo lavora come stilista in diverse aziende ma, non si sente libera di esprimersi e decide di creare una sua linea di abbigliamento composta esclusivamente da pezzi unici, fatti a mano. In parallelo alimenta la passione per la pittura e, finalmente nel 2008, ha l’occasione di renderla pubblica grazie alla sua prima mostra personale a Milano “Glam In Pink”. “(...) Chiudiamo gli occhi, prepariamoci ad immergerci in un mondo di glitterate seduzioni, perlate silhouette e immortali pose da diva: protagoniste, le affascinanti donne vestite dal gusto e dalla fantasia della giovane artista Silvia Viganò. Su sfondi spesso monocromi, a volte sagomati da piogge di stelle o bolle di sapone, posano intriganti e dinoccolate le modelle firmate Viganò. I vestiti della pittrice-stilista sono da loro portati con fantasiosa disinvoltura, quella che possono permettersi indossatrici d’acrilico: pezzi unici colorati e sbarazzini, talvolta romantici, spesso corredati da sfiziosi accessori, a formare collezioni audaci e decisamente d’artista. Non è la stoffa non è il disegno, non il colore e neppure le rifiniture…a rendere unica la moda della pittrice sono le sfumature del sogno che regnano nel suo immaginario. Ai capi dipinti sono applicate pietre preziose della sua fantasia, strass, paillettes e brillantini a colorare di atmosfere a tinte forti mai volgari, vite misteriose dai corpi alti, elastici, flessuosi come rami d’ulivo, eleganti come betulle. (…) Chic e irriverenti, o divertenti e spensierate, le donne di Silvia Viganò sono padrone nel loro impero di colore. Entro i confini di ogni tela, in quello spazio al limite tra la fantasia e la bellezza mercificata, il sogno e un repertorio figlio dell’economia globalizzata, regnano bellissime e malinconiche, algide o elegantemente disinteressate.” Testo di Viola Lilith Russi

Angelo Volpe - Ceres pop party - 
Nasce a Pozzuoli (Napoli) nel 1976. Dopo il diploma in Grafica per la Pubblicità e la Fotografia, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli laureandosi in Pittura con il massimo dei voti. Terminati gli studi ha lavorato come assistente per noti artisti internazionali quali: David Tremlett, Thomas Hirschhorn e Sol LeWitt, con il maestro statunitense, ha stretto rapporti di lavoro sempre più frequenti, sino a divenire negli anni uno dei suoi collaboratori di riferimento in Italia. La sua ricerca verte sull’analisi degli effetti “spersonalizzanti” provocati dai moderni canoni estetici imperanti nella società contemporanea. Con spirito sarcastico e pungente da vita ad una schiera di figure emblematiche, le “sexy-dolls”. Fatine provocanti dai volti diafani e dalla maliziosa carica erotica che ironizzano sulla vacuità e l’edonismo di look e stili di vita borderline, caricaturizzando gli attuali canoni di bellezza femminile, simboli di una cultura occidentale volta alla totale mercificazione del corpo. La fisicità perde ogni tratto umano, assumendo forme di fantocci di plastica. Modelli estetici imposti dai mass media che inculcano un’immagine ideale di perfezione corporea, alla quale sempre più adolescenti si ispirano, spesso modificando persino chirurgicamente il proprio corpo, rendendolo simile a bamboline inanimate 

Beppe Volpini - Ci vuole stile - 
Nasce a Milano il 10 aprile 1972. Fin da piccolo trova come canali espressivi la forma e il colore concretizzati attraverso il disegno, è autodidatta ed affina la sua sensibilità e la sua tecnica quando approda alle scuole superiori frequentando, prima l'Istituto Grafico Salesiano e poi, l'Accademia di belle Arti di Brera con indirizzo Scenografia. Conclusa la scuola si allontana dal disegno per diversi anni esplorando altre forme espressive, quali la musica e la video arte. Dal 2003 circa, rinasce in lui il desiderio di sfidarsi e crea una serie di opere, per supporto predilige tavole di legno recuperate dalla strada, i primi esperimenti nascono addirittura da progetti sviluppati con programmi 3D al computer e poi dipinti in medie dimensioni, nella fase pittorica iniziale è lo stimolo nel vedere i colori saturi campire le proprie idee che predomina, nei lavori successivi sono invece i materiali a prendere importanza. In questa fase si aggiungono ai colori acrilici saturi ed opachi i colori metallici, l’oro e l’argento che insieme ad alcuni simboli saranno tema di sviluppo e firma di tutte le sue creazioni. Le vernici e gli acrilici metallizzati, porteranno i lavori ad una nuova profondità, sfondando il piano del disegno con i differenti piani generati dalla luce riflessa, dando così ad ogni opera innumerevoli punti di vista e lasciando ad ogni osservatore la possibilità di scoprire il proprio. L'artista difficilmente progetta consciamente il proprio soggetto, ritrova e ripropone diversi simboli, quali il sole stilizzato - che prende anche forma di sfera di energia quando posizionato vicino o all'interno di corpi ed oggetti composti - gli occhi, le mani e i piedi, stilizzati e riproposti in diverse forme. Attualmente l'artista sta sperimentando nuovi materiali e si sfida con soggetti più onirici e psichedelici

 

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