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Andrew Bud, vice presidente Mobile Entertinment Forum (Mef)
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Nel Mobile Content l’advertising non sarà determinante

29/06/2007

L'errore maggiore sarebbe subire l’effetto magnetico di internet. A dirlo è Andrew Bud, vice presidente Mobile Entertinment Forum (Mef), che per il Mobile Content predica la necessità di un modello di business su misura. In quanto all'Italia, poi, non è da meno, rispetto al mondo. Anche la situazione internazionale, infatti, parla di un mercato al suo punto di svolta. Basti pensare che oggi sono solo il 5% i consumatori che in media al mese vi prendono parte, con differenze specifiche da settore a settore, da Paese a Paese. E soprattutto che molti non ne sono nemeno soddisfatti.

Difficile capire perché il mobile content voglia ‘scimmiottare’ internet, replicandone il successo. A guardare le cifre, infatti, l’industria in questione dovrebbe sentirsi più che protagonista. Con i suoi 700 miliardi vale 5 volte quella internet, non giustificando la soggezione. In merito al revenue, invece, è vero che internet conta 35 miliardi di dollari, ma i 2/3 competono all’advertising. Nei 20 del mobile, invece, non ce n’è proprio, di advertising si intende. Partendo da queste certezze Andrew Bud, intervenuto nel corso dell’incontro ‘Mobile Content. Aspettando Mobile Internet e Mobile Tv’ a cura dell’Osservatorio Mobile Content della School of management del Politecnico di Milano, sentenzia: “Il mobile content non deve imitare i modelli di business del web, ma inventarsene uno proprio”.

No adv no party
Una ricerca internazionale dimostra che da qui al 2010 l’adv contribuirà alle revenue del mobile solo per il 20%. Il che significa non essere determinante. Se, dunque, i content si facessero free, da dove deriverebbe il guadagno? La risposta è che non ci sono potenzialità così grandi da sostituire i redditi transazionali.

2007: l’anno dell’utente
“Esistono solo due mercati in cui si parla dei clienti come users. Quello del mobile content e quello della droga”. Con queste parole Bud introduce l’altra grande verità di questo mondo: non si è ancora preoccupato di ascoltare veramente il suo consumatore. Non a caso il Mef ha in corso un’iniziativa per iniziare a farlo. Perché la questione fondamentale è che la gente non è soddisfatta di quello che le viene venduto. Negli Usa ben il 26% non lo è del servizio e dell’esperienza. Normale, dunque, rivolgersi ai contenuti free. Senza parlare del problema del prezzo, visto che al consumatore capita anche di trovarsi addebitati costi non previsti.

 

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