Contro l’olistico pigliatutto, integrazione sul Roi del cliente
27/06/2007
Diverse le riflessioni. Dalla voglia di chiarezza sulle competenze verticali delle singole agenzie alla necessità che i marketing manager si riavvicinino al business. Perché il modello olistico è retorica. E tra tutto è sempre l’adv a rendere di più. Comunicazione integrata, dunque, in difesa di una torta che in molti non vogliono spartire.
Verrebbe da pensare che è facile così esordire per chi è fuori dai numeri più grossi. Che Odoardo Ambroso, ceo Ammiro Partners, abbia il dente avvelenato con il nuovo ‘tsunami olistico’. Infatti, potrebbe dipendere dal suo essere agenzia indipendente, specializzata nel direct marketing, crm, nell’accezione più vera del termine. E già qui, come lui stesso ha più volte sottolineato nella chiacchierata con youmark, c’è da discutere. A partire dalle grossolane generalizzazioni che vedono ricadere nel calderone del crm chiunque si occupi di comunicazione one to one, senza capire quanta diversità ci sia in seno a questo mondo. È necessario spiegare alle aziende chi fa cosa, e come. Per quanto lo riguarda, poi, Ambroso cita il dato quale specificità di competenza. Le sue campagne, infatti, partono da lì, non dalla creatività, appaltata all’esterno. Perché nel direct l’80% dei risultati dipende dalla qualità dei dati e dall’offerta, solo il 20% è creatività. Il dato, poi, non conta solo nel direct.
Un marketing da ‘set’
Ma Ambroso esprime anche un’opinione in qualità di ex uomo di azienda. Per lui i manager di oggi stanno troppo lontani dai processi di business. Tutti concentrati nel branding e in quella che è la parte più ‘glamour’ della comunicazione, hanno finito per decidere sempre meno. Ovvio che, stando così le cose, l’olistica è l’unica comunicazione possibile, così autoreferenziale, così focalizzata ad accerchiare l’utente in nome di una coerenza globale. Ma se l’obiettivo fosse, come dovrebbe, il business, allora tutto cambia. A fare ‘tremare’ i manager devono essere le riunioni con la rete vendita. Perché è lì che si misura l’abilità, nella capacità di mettere la rete nelle condizioni di vendere il più possibile, ma salvaguardando i valori di conto economico.
Chi fa la nuova storia
Pensiamo ad aziende come Dell, Google, Ebay, Bodyshop, Virgin. Tutti brand costruiti senza l’advertising. Il direttore marketing Nestlè America va personalmente nei punti vendita a vedere come la gente compra. Il grande David Ogilvy prima di acquisire il cliente Shell, era stato a fare il benzinaio in una sua stazione. In Messico, poi, ogni nuovo impiegato della Procter deve lavorare due settimane in un negozio per capire la gente, così come in Cina un gruppo di ricercatori si è dovuto mischiare alle donne di un villaggio cinese per studiare il loro modo di ‘fare il bucato’, acquisendo informazioni utili per il lancio di nuovi prodotti P&G in Cina. Insomma, il fulcro è la conoscenza del consumatore. Non solo raccolta di dati, ma loro modellizzazione.
La nuova integrazione
L’integrazione non deve partire dal marchio, ma dai clienti. Più precisamente l’integrazione va fatta sul Roi dei clienti, inziando a ragionare il tutto dal database marketing. E’ dall’analisi, studio e conoscenza di clienti e prospect che devono essere definiti budget e mezzi, in funzione di obiettivi che sono diversi. Per questo ci vuole poi specializzazione. Il planner aveva senso negli anni ’80 quando, non esistendo la cultura e la disponibilità del dato odierno, i ragionamenti sul consumatore venivano fatti su ricerche e medie. Oggi è possibile mirare il tiro. Ovviamente, il come dipende dal tipo di business, dai margini che consente. Certo che per un brand di pasta i margini sono così bassi che l’unico costo contatto sostenibile è quello dell’advertising. Ma se ad esempio ci spostiamo in un settore come il pet food, la segmentazione per caratteristiche demografiche diventa fondamentale. Su 100 euro spese per fare adv, infatti, il 75% sarebbe spreco.
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