Giacobazzi/Donelli Vini: back to basics. Alla comunicazione il 5%, ma in crescita
09/12/2008
Lo scorso febbraio Donelli Vini rinnovava immagine e marchio, affidando il restyling alla londinese Claessens International. Di poco prima l’attribuzione a Treepress delle attività di ufficio stampa. Recente, poi, la presentazione del libro 'L’ê andéda acsé', dedicato a Sergio Scaglietti, padre di modelli di Ferrari come 500 Mondial, 500 Tr e Trc, 250 Testa Rossa, 290 MM, 315 and 335 S e 250 Gto, nonché alla città di Modena. Tutte iniziative che, crisi nonostante, fanno riflettere sull’importanza di comunicare. Enfatizzando contemporaneamente il ritorno ai fondamentali. Youmark ne parla con Giovanni Giacobazzi, responsabile commerciale Donelli Vini.
Insomma, il punto di partenza è proprio questo. Capire qual è la strategia che si nasconde dietro il risveglio di azioni di questo tipo. Significa che, nonostante tutto, senza comunicazione non c’è business?
“Direi piuttosto che comunicare efficacemente il vino significa poter contare su un’ulteriore leva competitiva. Si tratta, infatti, del più nobile dei prodotti della terra, ed è sempre espressione di un territorio, con la sua cultura e la sua gente. Gli eventi che organizziamo, siano essi in ambito sportivo o culturale, e le partnership che stringiamo nascono proprio per valorizzare questo concetto”.
Come definireste l’attuale situazione del vostro mercato, alla luce delle quote da voi detenute e dei competitor con cui vi trovate più di frequente a confrontarvi?
“Tre sono le tendenze che ritengo più significative. A iniziare dalla crescente competitività, con player sempre nuovi che si affacciano sul mercato cercando di interpretarne le esigenze e i trend in atto. In secondo luogo la globalizzazione: non ci si rapporta più soltanto con il contesto domestico, ma con il mondo. Infine, l’emergere di una nuova figura di consumatore. Competente, esigente, informato, che crede nella cultura del buon bere, privilegiando l’eccellenza rispetto alla quantità. Donelli Vini è una realtà solida, premiata dal mercato perché ha saputo ringiovanirsi e rinnovarsi. Nei primi anni Duemila io e mio fratello Giovanni abbiamo affiancato nostro padre Antonio nella gestione dell’azienda, sforzandoci di connotarla in senso cosmopolita e di valorizzare anche dal punto di vista dell’immagine. Partendo dal Lambrusco, che costituisce il prodotto principe del nostro portfolio. Dobbiamo essere bravi a dare continuità a questo percorso di crescita, tenendo conto delle tre variabili prima sottolineate”.
Quanto contano le scelte distributive, quale la vostra politica in merito?
“Da queste scelte dipende il successo di una casa vitivinicola. Ci rapportiamo a due canali. Da un lato, la grande distribuzione, imprescindibile dal punto di vista dei volumi e dei valori, dall’altro l’ho.re.ca. È in questo segmento che stiamo ora concentrando i nostri sforzi, perché più sensibile all’origine peculiare dei prodotti, alle loro specificità e alla qualità”.
Con che fatturato chiudete il 2008?
“Il 2008 sarà per noi un anno positivo, con incremento di fatturato di circa il 6%”.
Quali sono le leve di marketing per voi più importanti, quanto investite in comunicazione?
“Per quanto riguarda le leve di marketing, mi limito a segnalarne due. Il rapporto qualità/prezzo, perché la crisi influirà sulle abitudini di consumo, il che, come evidenziato di recente da alcune indagini di mercato, significa che si acquisterà magari meno ma sempre premiando la qualità. E la scelta dei canali distributivi. La comunicazione oggi incide per 5% del nostro fatturato. Un buon punto di partenza, con la volontà di aumentarne gli investimenti”.
Avete mai pensato a una campagna adv, stampa, esterna, o addirittura in tv, come fanno altre aziende di settore?
“Come appena detto, penso sia opportuno crescere step-by-step. In questa fase, con l’obiettivo di aumentare la nostra brand awareness rispetto al trade, stiamo puntando sulle riviste del settore wine. Il passo successivo saranno i magazine di riferimento per il mondo ho.re.ca. A livello di tv e radio, per ora optiamo per circuiti locali, insistendo sulla specificità territoriale del Lambrusco. E non è soltanto una questione di budget, perché è fondamentale che il consumatore provi il prodotto. Voglio dire che il discorso pubblicitario non può essere slegato dalla crescita della rete distributiva. Forte il nostro credo nelle partnership, intendendo realizzare iniziative culturali - pensiamo alla kermesse estiva Oltre i Giardini, nella nostra Modena - ma anche eventi sportivi. Da anni siamo fornitori ufficiali di vino e aceto balsamico della Scuderia Ferrari Marlboro sui circuiti di tutto il mondo. Inoltre, alle recenti Olimpiadi di Pechino, abbiamo rifornito con i nostri Lambruschi gli atleti di Casa Italia”.
Il consumatore di vino è fedele alla marca?
“Direi di sì, soprattutto quando riconosce costanza nel prodotto e standard di qualità elevati ad un prezzo che ritiene accessibile”.
Perché per voi è così importante il legame con il territorio?
“Il vanto della nostra produzione è rappresentato dal Lambrusco: un vino che non può prescindere dall’area di origine, le province di Modena e Reggio Emilia. Non a caso, molti emiliani celebri gli hanno reso omaggio. Ad esempio, Enzo Biagi amava definirsi ‘allevato a Lambrusco’, mentre il rocker Luciano Ligabue al Lambrusco ha intitolato addirittura un album: ‘Lambrusco, coltelli, rose e popcorn’. In questo vino si riflettono le caratteristiche di schiettezza, socievolezza, brio ed intraprendenza tipiche delle genti emiliane”.
Peso dell’estero sul vostro business?
“I mercati esteri pesano per il 65% del nostro fatturato. Siamo una delle case vitivinicole che hanno contribuito a fare del Lambrusco il vino italiano più conosciuto e venduto oltre frontiera. Presenti in una quarantina di Paesi, abbiamo i nostri mercati di riferimento in Germania, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Brasile, Cina e Giappone”.
Che il 2009 sarà un anno di crisi è ormai risaputo. Quali i risvolti attesi per la vostra azienda?
“Non sarei così negativo. È indubbio che i prossimi mesi saranno difficili, ma in questo vedo anche l’opportunità di segnalarci come produttore serio, dalla storia quasi secolare. La Donelli Vini è stata infatti fondata nel 1915 da Adolfo Donelli, che ha fatto della passione per il vino un’arte, nel segno della tipicità e della qualità, coniugando tradizione e innovazione”.
Quali leve, strategie, interventi, potrebbero far tornare il sorriso al vostro comparto, sostenendo i consumi e facendo prosperare l’offerta?
“Può sembrare paradossale, ma è importante il back to basics. Bisogna partire dalla vigna. Noi abbiamo oltre 110 ettari di vigneti di proprietà tra Bomporto, Nonantola e Sorbara, in provincia di Modena e seguiamo il processo di produzione dalle terra alla cantina. Per poi puntare sulle specificità territoriali. Il tutto mixato a spirito imprenditoriale e volontà di innovare. Nel nostro caso, ad esempio, coniugando tecniche di vinificazione con tecnologie di imbottigliamento all’avanguardia”.
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