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Brenna/Leo Burnett: non abbiamo concorrenti. Ci copiano, ma non riescono

20/10/2008

Con un 2008 che chiude a +11% non teme certo la crisi. Perché Leo Burnett sta alla comunicazione come il lusso sta al mercato, vedendo allargare la forbice della differenza. Grazie all’offerta di servizi alternativi tanto che, nonostante in Italia il tradizionale rappresenti ancora il 92% del business, è al resto che l’agenzia guarda per aumentare i ricavi. Grazie al modello a matrice fluida, con eccellenze che trasversalmente si spalmano sull’organizzazione. E alla ‘human kind’. Che non è buonismo, ma switch tra marca e persone, ponendo queste ultime al centro e facendo vincere tre gare su tre. Clearblu a marzo, le altre da dirsi a breve. In quanto a creatività, infine, Dorizza e Rodriguez non si toccano, perché non c’è paragone. Come spiega Giorgio Brenna, chairman e ceo Leo Burnett Group Italia e Western Europe, al microfono di youmark. 

La crisi è finanziaria, ma si farà sentire sull’economia reale. Poche le certezze sul come e quanto. Dipenderà dall’entità dell’eventuale stretta creditizia, chiudendo i prestiti alle aziende che producono e ai privati che acquistano. Meno consumo, meno vendite, meno comunicazione. 

Così il sistema delle agenzie, già in ginocchio, potrebbe modificarsi per sempre. Il che non è male. Optando per i benefici di una salutare pulizia, con la scomparsa di una competizione solo di prezzo che, dove già ridotto all’osso, porta solo alla fine. Mentre Leo Burnett va in controtendenza e per spiegarla ricorre al lusso. Con la crisi prospera. Puntando ad aumentare i propri ricavi con servizi innovativi, perché è lì che il business d’agenzia va quando i budget delle aziende si contraggono. 

Dalla sua parte un nuovo modello organizzativo. A matrice fluida. Non facile da realizzare, ma sinergico alla diffusione trasversale di eccellenze, creando opportunità di ricavo prima inesistenti. E una visione, la ‘human kind’. Perché positioning, target e consumatori appartengono al ieri, ragionando oggi la poeople behavior. Insomma, le persone, e non la marca, al centro. I frutti ci sono già tutti. Tre gare vinte su tre. Potendo per il momento nominare solo Clearblu, dello scorso marzo, ma rimandando a breve la notizia delle identità successive. 

Felici che Enrico Dorizza e Sergio Rodriguez, group creative director, non li voglia nessuno. Perché, scherzi a parte, non c’è paragone. Giocano da soli, su un altro campo, con altre regole. In molti cercano di copiarli e per questo cambiano le direzioni creative. Ma al momento ci riescono ancora poco.

 

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