Valerio Di Bussolo/Ikea: che le agenzie osino, coerentemente
30/06/2008
Ikea ha messo il suo budget in gara dopo dieci anni. A settembre saranno visionati per la prima volta i lavori. La decisione finale arriverà a ottobre. E questo si sa. Meno scontato il perché. Scoprendo che l’insoddisfazione non centra, quanto piuttosto la curiosità. Di un brand ormai nazionale, che vuole essere ricordato anche per qualità. Un ottimo cliente per le agenzie. Uno dei pochi liberi di decidere, credendo che la fiducia, non le ricerche, garantisca l'eccellenza creativa. Youmark ne parla con Valerio Di Bussolo, responsabile relazioni esterne Ikea Italia.
La sua ultima gara risale al 1998. A vincere allora fu Bgs, intervenendo poi Publicis, a seguito dell’incorporazione della sede di Milano dell’agenzia, che segnò anche la fine della vita della sigla, confluendo quella di Torino in Leo Burnett. Ma questa è un’altra storia. Protagonista del nostro attacco, infatti, è Ikea Italia. Che dopo dieci anni ha indetto una nuova competizione coinvolgendo quattro agenzie, oltre all’uscente. E comunicando in modo contestuale e trasparente il fatto alla stampa.
Apprezzabile la modalità con cui avete comunicato la nuova gara, sinonimo che i tempi sono cambiati?
“Perché come succede di solito? Ikea è in Italia da vent'anni. Sono state solo due le agenzie con cui abbiamo lavorato. TBWA\Italia e Publicis. Con rapporti nati a seguito di una gara e durati una decina d’anni l’uno. Abbiamo poca esperienza”.
Perché si sente la necessità di mettere in gara le agenzie, non sarebbe meglio sceglierne una a monte e con essa lavorare per ottimizzare il brief?
“Dopo un rapporto così lungo con un unico partner abbiamo sentito la necessità di prendere contatto con il panorama dell’offerta. Il tutto rendendo tributo a Publicis, che non cambiamo per insoddisfazione, ma perché è arrivato il momento di rimescolare le carte. Specificando che abbiamo chiesto alle agenzie selezionate grande apertura, aspettandoci idee strategiche, non solo campagne”.
Dove va la strategia Ikea? State rivedendo il vostro posizionamento, quali gli obiettivi della prossima campagna?
“Ovviamente non è possibile svelare il brief. Ma anticipiamo che non si tratta di un nuovo posizionamento, quanto piuttosto di una svolta. Soprattutto perché, a differenza di ieri, oggi abbiamo copertura nazionale, eccezione fatta per le isole. Resta invariato il target. ‘Majority of people’, con focus sulla famiglia, i single e i nuclei con bambini. Ricordando che le strategie sino ad ora perseguite hanno portato l’awareness al 99%, con l’Italia primo paese, al pari della Svezia”.
Ma con un brand praticamente conosciuto da tutti, c’è ancora bisogno di fare comunicazione?
“Sì, anche perché nel frattempo è cambiato lo scenario concorrenziale di riferimento. Una volta eravamo soli, oggi ci sono nomi come Emmelunga, Mondo Convenienza, Aiazzone, che rientra dopo tempo. Indispensabile continuare a spingere creando picchi di interesse. Anche informando, spiegando lo scatto qualitativo degli ultimi anni. Fondamentale per un paese come l’Italia, abituato al mobile alto di gamma. E dove l’80% della popolazione è proprietaria di casa, in Europa lo è solo il 60%, quindi non arreda per affittare”.
Rispetto al mondo, in Italia Ikea osa creativamente meno, perché?
“E’ vero. La nostra sede, eccezione fatta per catalogo e sito internet, lascia piena libertà ai diversi paesi. Il punto è la tipologia del mercato italiano. Specie da quando il nostro business non è più ‘Milano centrico’, la necessità principale è stata farci capire. In ogni caso, la gara servirà a definire come il seminato verrà tradotto in strategia per il prossimo decennio”.
Quanto contano test e ricerche nell’approvazione delle vostre campagne?
“Nulla. Se in venti anni ne abbiamo fatte tre è tanto. Crediamo nel rapporto di fiducia che istauriamo con l’agenzia. Riteniamo siano demotivanti per il lavoro creativo. Da cui pretendiamo coerenza, non ci piacciono le campagne fatte solo per stupire”.
In tema di media mix, pensate che si possa fare a meno della tv?
“Ne abbiamo fatto a meno per quindici anni, costruendo la nostra awareness con esterna, radio e stampa. Perché la tv sia efficace ci vogliono investimenti che garantiscano un lavoro sul lungo. Per il futuro, se dalla gara usciranno idee interessanti da tradurre sul piccolo schermo, perché no, ma non è un passaggio obbligato. In ogni caso, il nostro centro media è sempre Maxus”.
Qual è il vostro giudizio sulle agenzie italiane, in cosa peccano e in cosa eccellono rispetto al paragone internazionale e perché?
“Generalizzare è difficile. Per quanto ci riguarda abbiamo cercato di invitare sigle molto diverse tra loro, dalle grandi alle emergenti. Ci aspetta un duro lavoro di selezione e analisi delle proposte, di cui prenderemo prima visione in settembre, decidendo poi per ottobre. In quanto alle straniere non le riteniamo idonee, soprattutto per le campagne corporate. E' successo, invece, che altri paesi abbiano acquistato campagne italiane relative all’apertura di nuovi punti vendita”.
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