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Lavoro, donna è bello se a decidere non è solo un uomo

11/03/2008

 Mai far decidere solo a un uomo se assumere una donna. Ma nemmeno se aumentarle lo stipendio. A consigliarlo è Luca Rossetto, ad Upim, che per l’82% ha collaboratrici donne. Con le dirigenti passate dal 4 al 26% negli ultimi tre anni. Grazie a una politica attenta, partendo da forme di turnazione facilitata. Youmark propone il suo intervento di ieri, relativamente al ‘2° Forum cultura d'impresa, leadership al femminile’. Così come quello di Francesca Chelli, ad Nespresso Italia, nella cui azienda le donne rappresentano il 65% e la crescita vale +70-80% l’anno. Magari scoprendo che il problema è, prima di tutto, culturale. 

Un dato che guarda al futuro. Il 25% delle donne laureate non lavora, contro il 9% dei maschi. In poche parole uno spreco di risorse. Con il tasso di occupazione delle madri inferiore a quello femminile, eccezione fatta, in Europa, per Islanda e Svezia. 

Ma in Italia la situazione non cambia con il crescere dell’età del bambino. Come dimostra il fatto che la percentuale di iscritti all’asilo nido da noi sia solo pari al 6,3%, contro il 28% della Francia e il 39,5% della Svezia. 

Con Paola Profeta e Alessandra Casarico, entrambe professore associato di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi, a mostrare la via dell’incentivo fiscale e degli interventi sul mercato del lavoro quali soluzioni. 

Sul fronte della domanda, riconoscendo detrazioni per figli a carico più elevate per quelle famiglie con doppio percettore di reddito, o unico se monoparentali, configurandole come imposta negativa. Su quello della domanda, riconoscendo sgravi fiscali alle imprese che assumono donne. 

In merito al mercato, invece, l’azione dovrebbe guardare ai congedi parentali, riconoscendo quelli esclusivi e retribuiti per i padri, in modo indipendente e aggiuntivo rispetto a quelli per la madre. Così come impegnarsi sul fronte del part time. 

Ma è soprattutto la nostra cultura a dover cambiare. Troppo alta, 81,4%, la percentuale di chi è convinta che un bambino in età prescolare soffra se la mamma è al lavoro. Inferiore alla media degli altri paesi, invece, il credo nella capacità della madre che lavora di stabilire una relazione con il figlio intensa alla pari di chi non lavora, o il riconoscere che i padri siano parimenti abili delle madri a curare i figli.

 

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