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Juan Josè Fabiani/ Latinoamericando: oltre la curiosità c'è la cultura

07/03/2008

Nato 18 anni fa come ‘alternativa’ per supplire alla mancanza di una Fiera dedicata, la cui ultima edizione è datata ’89, servita da vetrina per le imprese estere in Italia, il Festival Latinoamericando, da allora, ne ha fatta di strada. Anche qualche salita. Dovendo nel tempo ‘combattere’ contro gli effetti dell’immigrazione di massa, costati non poco in termini di percezione collettiva. Oggi vale 1 milione di visitatori, due mesi di durata, 8 milioni di euro di costi fissi, la presenza di artisti del calibro di Toquinho, Feliciano, Gil. Youmark ne parla con Juan Josè Fabiani, direttore generale e creatore del Festival, nonché vicepresidente Camera commercio peruviana. 

La prima edizione si svolse al Castello Sforzesco, accolta con entusiasmo dalla giunta Pillitteri. Era l’inizio degli anni ’90 e ancora non esisteva una comunità latino americana in Italia. Semplicemente Fabiani, che ricopriva l’incarico di addetto commerciale presso l’Ambasciata peruviana, lo pensò per dare sfogo alla voglia di mostrarsi delle imprese locali, private della vetrina di una Fiera che nell’89 chiudeva i battenti. Non certo con l’intento di costruire un’azienda. 

Così l’idea di superare la staticità dello stand, per allargare a un momento di incontro con una cultura, a tutto tondo. Anche perché la curiosità era tanta. Mancavano i locali, eccezione fatta per il milanese Porcao, rimasto tuttoggi location storica della conferenza stampa di presentazione del Festival. Che, ricordiamo, quest’anno si svolgerà dal 18 giugno al 18 agosto, occupando 40.000 metri quadri del Forum di Assago.
 
L’exploit fu un successo, con la presenza di un pubblico al 95% italiano, qualitativamente medio-alto, con signore della ‘Milano bene’ a piedi nudi, catturate dalla salsa. 

Come l’avete fatto conoscere, quanto è contata, da subito la comunicazione?
“Il primo anno fu assolutamente ‘fai da te’, bussando alle porte dei capiredattori, dispensando locandine informative. 'Vivi Milano' ci dedicò la copertina. Ricordo ancora il titolo ‘il Sud America espugna il Castello’. La gente era curiosa, non si sapeva ancora nulla di salsa e merenghe". 

Oggi è più facile o più difficile?
“Negli anni è cambiato l’atteggiamento. Da voglia di scoprire e conoscere a moda, a ‘diffidenza’, conseguenza dell’immigrazione di massa partita dal ’93-94. Basti pensare che al solo Consolato peruviano gli iscritti sono passati dai 500 del ’90 ai 50.000 attuali. Se la prima edizione del Festival contò 35.000 presenze spalmate su una settimana, con il 95% di italiani, nel 2007, abbiamo raggiunto il milione, ancora con predominanza italiana, 65%, ma con spostamento verso il medio, medio-basso della qualità del target”. 

C’è anche da dire che crescendo i numeri crescono le dimensioni, perdendo inevitabilmente quell’esclusività che in genere piace alle nicchie più esigenti, ma in ogni caso guadagnando in business, giusto?
“Sono cresciute sia le entrate che le risorse necessarie. Il Festival è completamente autofinanziato ed è un business in attivo. Sono aumentati i costi, oggi ammontano a circa 8 milioni di euro i soli fissi, la qualità degli artisti ospitati. Il rischio. Perché basta la pioggia a far tremare il bilancio”. 

Dunque, quanto e come guadagnate?
“Il biglietto giornaliero costa 10 euro, considerando, però, che non tutte le presenze sono paganti, molti gli omaggi, le promozioni, gli inviti. In ogni caso è questa la nostra maggiore fonte d’entrata. Una piccola percentuale compete, poi, all’affitto degli spazi, a circa cento realtà, tra cui anche molte italiane, visto che l’etnico è diventato business. Il festival è organizzato come un grande villaggio, con piazze dedicate a ogni singolo Paese. Ristoranti, negozi, ma anche padiglioni culturali, librerie, eventi, concerti, con artisti del calibro di Gil, Toquinho, Feliciano”. 

Mai pensato di replicarlo in altre città oltre Milano?
“Lo avevamo fatto, toccando Jesolo, Viareggio, Verona. Ma oggi è diventata così impegnativa e mastodontica la scenografia, che tempi del trasporto e costi supererebbero di gran lunga i benefici. Ormai siamo conosciuti e il pubblico arriva da tutta Italia, e non solo”. 

Quali le novità della prossima edizione?
“Il Festival sta assumendo un ruolo di ente preposto alla promozione della latinità, modificando la percezione non sempre positiva che l’Italia ha nei confronti di questo popolo. L’impegno, dunque, è spostare l’attenzione da salsa e merenghe, da belle ragazze e abbronzatura, alla cultura, alla qualità. Della musica, del cibo, della letteratura, delle persone. Non a caso abbiamo di recente chiuso la gara per l’identificazione dell’agenzia che guiderà la comunicazione di questo nuovo posizionamento, vincendo Unbranded”. 

Come comunicherete?
“Nel 2007, di sola pubblicità, abbiamo speso circa 150.000 euro, soprattutto esterna, affissione, volantini. Perché l’obiettivo era far conoscere il programma del Festival, così che la gente potesse scegliere gli eventi preferiti. Nel 2008 raddoppiamo l’investimento. Sempre affissioni, radio e stampa, per raggiungere dalla Svizzera alla Sicilia, ma anche marketing non convenzionale. Vogliamo inserirci nella città, facendo sì che Milano si lasci contaminare dalla cultura latina. Ovviamente, intensa l’attività di ufficio stampa. Stiamo definendo con Unbranded il nome dell’agenzia preposta, potendo anche confermare Diesis”. 

C’è qualche altro nuovo progetto nel cassetto?
“Più d’uno, evoluzioni naturali del Festival. Il più imminente è di natura editoriale, volendo fare del nostro portale un punto di riferimento per la comunità, fortemente interattivo. Al via le nostre tv e radio via web. Ma anche la possibilità di ricevere consulenza in tema di permessi di soggiorno. Oltre a essere aggiornati quotidianamente su quanto accade nel proprio paese d’origine”.

 

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