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La società diffusa

23/01/2008

Siamo nell’era dell’informazione. Pur apparendo puntuale, la definizione non è poi propria. Perché non si tratta di un primato contemporaneo, quanto piuttosto della caratteristica del divenire sociale, da sempre. 

E’ che oggi l’informazione è diventata talmente numerosa e fitta da rendere difficile la sola pronuncia del numero dell’esatta quantificazione di quella registrata o registrabile. Basti pensare che nell’ormai lontano 2000 eravamo già arrivati a quota 1,30 byte, ma con vicini ben 19 zeri, contro i 7.500 miliardi del ’45. La conseguenza? L’attuale società diffusa. Come? Lo ha spiegato Guido Martinotti, professore ordinario di Sociologia Urbana.

Intervenuto al convegno ‘ orientarsi nell’era digitale’, organizzato ieri a Milano da Assolombarda, Mariotti ha ripercorso la storia dell’umanità alla luce dell’importanza che l‘informazione da sempre assume nella definizione delle stesse peculiarità sociali. 

Surfing the tsunami, da Platone all’iPhone’ è la provocazione usata per descrivere un’incombenza ineluttabile, che per essere vinta va anticipata e che, comunque, ha le sue origini molto lontano, nel racconto di quel percorso che dal filosofo greco conduce dritto all’iPhone.

E nello spiegare il perché, la citazione successiva si serve del sociologo francese Alain Gras, argomentando due concetti fondamentali per capire. Da un lato il fatto che ogni trasformazione tecnologica porta sempre a una trasformazione sociale, economica, culturale. Dall’altro, l’influenza della cosidetta traiettoria, o tendenza, tecnologica. Perché in ogni decisione successiva si crea sempre un vincolo, determinato da scelte, non da obblighi.

Ma cos’è l’informazione? Claude Elwood Shannon, l’ingegnere e matematico statunitense definito il padre della ‘teoria dell’informazione’, la definisce come il calcolo delle probabilità che un determinato segno o messaggio venga recepito, tenendo conto dei parametri per poter gestire i canali entro cui si muove l’informazione medesima.

Nelle scienze si dice che un organismo è in grado di reagire all’ambiente quanta più informazione riesce a processare. Lo stesso Dna è informazione, anche se trasmissibile solo geneticamente. Come dire, il Dna non si può imparare. Al contrario di quanto succede per le informazioni che circolano nel cervello, grazie all’organizzazione delle quali l’uomo con il passare degli anni riesce a controllare sempre meglio l’ambiente. E il linguaggio nacque proprio perché questa ricchezza individuale non andasse perduta, per rendere possibile trasferimento e apprendimento.

Inizialmente si trattò di gesti. Poi si passò all’accumulo delle informazioni in forma extrasomatica, rendendo possibile oggi sapere cosa si faceva molti secoli fa. Il tutto perché si iniziò a imprimere segni in tavolette e perché quelle tavolette, anziché dover essere d’oro, quindi rare (il che avrebbe causato scarsità dell’informazione lasciata ai prosperi), hanno utilizzato un materiale comune come la creta. 

I primi linguaggi nacquero a scopo commerciale, con obiettivi di organizzazione. Si proseguì sino a raggiungere moli crescenti di byte. Dai 90 miliardi del 4° secolo, ai 7.500 miliardi del 1945, ai 13 esabyte del 2000, ossia 13 miliardi di gigabyte, o 1,3 con 19 zeri di byte, del 2000. E il progresso diventa sempre più veloce, semplicemente perché si ramifica grazie a esponenziali sinergie.

Cosa succede alla società? Se in una certa epoca l’assenza di acqua potabile portava la gente al pozzo, rendendolo luogo di socializzazione e scambio di informazioni, oggi la fisicità dell’incontro diventa sempre meno preminente. Ma la gente socializza lo stesso e lo fa in una crescente complessità Di persone, ruoli, economie, uffici, che figurativamente ci separano dalla fatidica acqua. Non c’è più  vicinanza diretta alle fonti di notizie, ma è diventato enormemente potente il sistema della loro divulgazione, con la tv quale maggiore rubinetto.

Perché il progresso porta al risparmio di tempo e fatica. Le macchine a questo servono, togliendo manualità ai lavori, garantendo velocità e qualità alle prestazioni, anche casalinghe. Per permettere ad altre macchine di nascere proprio per consumare il tempo risparmiato. La tv, ad esempio, ne assorbe 3-4 ore al giorno.

Con il risultato di stare di più in casa. Il che porta alla necessità di case più grandi, da riempire di macchine. Ma, a parità di prezzo, le maggiori dimensioni si trovano solo fuori dai centri delle città, facendo optare per la soluzione più equilibrata tra prezzo della casa e costo dei trasporti. Si creano così nuove città. Con i giovani a lasciare il centro, presidio dei più anziani. Nasce la società diffusa. 

Arthur Clarck
, inventore e scrittore britannico, nel 2000 scriveva: "Non posso più leggere romanzi, non ho più tempo. Non posso nemmeno più scrivere, non ho più tempo. Tutto il mio tempo lo passo a leggere e scrivere mail".




 

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