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Un'immagine del processo di lavorazione della pelle: la legatura
Un'immagine del proceso di lavorazione della pelle: la rifinizione
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L’unione fa il brand

12/12/2007

Una volta erano ‘solo’ piccole concerie toscane. Oggi sono un brand, un marchio registrato in tutto il mondo. O meglio lo sono dal 1994, anno della costituzione del ‘Consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale’, che oggi conta 26 realtà e che, nell’interesse di tutte, investe in promozione un budget pari a 1 milione di euro, sui 164 circa di fatturato, perché nella sfida contemporanea è il valore della marca a fare la differenza.  

Purché ricca di contenuti. Come dimostrano anche l’impegno nella realizzazione di ricerche finalizzate. Tra cui quella sulle allergie, che ‘promuove’ questa pelle a pieni voti, e l’ultima in tema di consumo. Senza dimenticare lo sguardo alle tendenze, sintetizzando quelle 2009 nel volume 'A tratti' a cura di Diane Backer, esperta di moda e trend, con cui youmark ha chiacchierato.

Come dire, non sbaglia chi dichiara che la forza del sistema produttivo italiano sta nella piccola media impresa. Sempre se capace di raccogliere le sfide del futuro, innovando il suo modo di essere azienda, pur restando fedele all’artigianalità e alle peculiarità produttive e qualitative che ne contraddistinguono l’essenza. Per questo fa piacere vedere come il comparto delle concerie toscane abbia trovato nell’unione in consorzio il motivo per tramandare un mestiere rendendo la peculiarità della concia vegetale fattore distintivo, determinante. 

E investendo in comunicazione, per trasmettere e diffondere il valore della qualità. Con appuntamenti nelle città del mondo, da Tokyo a New York, Parigi, Londra, Milano, Firenze, presentando annualmente le sue collezioni. Un made in Italy irriproducibile, perché per esistere ha bisogno della complicità di questa terra. A partire dall’acqua, che solo in Toscana sgorga naturalmente a zero gradi, quelli necessari per questo tipo di lavorazione.

Ma chi è il consumatore della pelle e quali sono le dinamiche d’acquisto? Per capire e trarre utili informazioni imprenditoriali il Consorzio ha realizzato una ricerca ad hoc, coinvolgendo 1.600 persone di tutte le età, sesso, estrazione sociale, residenza. E le evidenze non sono sempre positive. Ad esempio, è bassissima (5%) la percentuale di chi crede che la marca da sola sia sinonimo di qualità. Per i più, infatti, i due termini possono non coincidere e, comunque, non vengono automaticamente associati. 

A sorpresa, invece, l’italianità del prodotto quale discriminante d’acquisto supera la marca per il 19% degli intervistati, addirittura battendo il fattore moda. A quest’ultimo, poi, si dichiara attenta la metà. In merito alle valenze del concetto se per i giovani conta l’apparenza e la visibilità della marca, per i più maturi vincono comodità e utilità. Corale la critica ai distributori, perché per il 22% degli interpellati, e con prevalenza dei giovani, non sanno cosa vendono. 

Senza dimenticare la forza di una nuova elite di consumatori. Attenti in primis alla qualità della propria vita, dunque sensibili ai problemi ambientali, alla ‘sostenibilità’ delle proprie scelte. Che non si lasciano convincere dalla moda in quanto tale, ma dalla ‘natura’ . Non a caso un prodotto di nicchia come la pelle conciata al vegetale oggi è conosciuto dal 9% del campione, contro appena l’1% di pochi anni fa.





 

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