Picciafuochi/ Manifattura M. Colombo & C: oltre la fiaba
30/11/2007
Perché i prezzi delle agenzie sono cari rispetto ai risultati. Perché i budget non sono più faraonici come un tempo. Perché puntare sulle risorse interne è più proficuo. Lo sostiene un’azienda che alla comunicazione, adv esclusa, preferisce pensarci ‘in proprio’. Parliamo dei modi di una realtà della moda. E lo facciamo con Francesca Picciafuochi, fashion pr communication manager Manifattura Mario Colombo & C, approfittando di un aperitivo molto speciale, nel quale la settimana scorsa per un pezzetto di Milano è arrivata la neve.
Cosa significa oggi essere a capo delle relazioni esterne di brand come Lacoste, Colmar, Token? Come è cambiato il modo di comunicare la moda?
“Il mondo della comunicazione rispetto agli inizi degli anni ’90, anni in cui ho debuttato nella mia attuale attività lavorativa, si è completamente modificato. Parliamo degli anni d’oro, quelli in cui la moda spendeva senza criterio, per cui tutte le attività risultavo faraoniche. Una vera babilonia. Si produceva con ottimi risultati, perché il fashion era stile, eleganza, qualità. E le iniziative, per parlarne e farne parlare, addirittura fiabesche. Oggi , invece, anche nel nostro comparto la comunicazione è divenuta strategica. Insomma si è strutturata, per certi versi ridimensionata, misurata. Nonostante alcuni marchi continuino a vivere retaggi del più recente passato, quasi falsi miti. Succede ancora, ad esempio, di vedere scegliere taluni fornitori solo perché più in ‘auge’ di altri, non certo perché più competitivi. Ma si tratta ormai di briciole di mercato".
Quindi più sostanza.
"Anche nella moda la comunicazione oggi vuole risultati. Senza dimenticare il fenomeno del fast fashion. Ormai sdoganato, agli esordi l’ingresso del cheap, del ready to wear, è stato un vero scossone. Al punto che oggi la consumatrice, dalla ‘fashionista’ più sfegatata alla più fashion victim, sino alla ‘no logo girl’, è cliente Zara, H&M, Mango. E persino gli stilisti più quotati fanno la fila per corteggiare queste catene, come dimostrano le collezioni loro dedicate da Victor&Rolf, Cavalli, Stella McCartey”.
Quanto contano gli eventi nel vostro communication mix?
"Gli eventi sono indispensabili tanto quanto un look per un party. Ovvero, la sostanza della persona esiste indipendentemente dall’abito. Ma è pur vero che se ben agghindata, quella stessa donna moltiplica le proprie occasioni di relazionarsi e conoscere. Così è l’evento moda. Un abito bello lo è in quanto tale, di per sè. Sia che venga esposto in uno showroom, piuttosto che sfilato in passerella, o mostrato all’interno di uno spettacolare allestimento. Ma è altrettanto vero che il contesto diventa fondamentale per accendere l’interesse sulle collezioni, per dare maggiore luce ed eco a quanto il capo già in sé possedeva”.
La maggior parte delle vostre iniziative viene sviluppata internamente. Perché, non ci sono agenzie all'altezza. O reputate la scelta più conveniente in termini di rapporto costi risultati?
"Diverse le motivazioni. I costi elevati delle agenzie, paragonati al risultato, non consentono il facile reclutamento in outsourcing. Sottolineando anche che i budget della moda sono sempre più ridimensionati. Inoltre, le risorse interne, se ben formate, coltivate e gestite, risultano più proficue".
Misurate l'efficacia delle iniziative, se sì come?
“Abbiamo ideato un criterio di performance value della redemption di un evento e della sua press coverage. Comunque, sono profondamente convinta che in merito a certi aspetti delle iniziative continui a valere un criterio di giudizio indiscutibile, unico e assoluto. Il successo o meno dell’evento, sulla base della percezione, dell’emozione e della partecipazione degli ospiti intervenuti. Ad esempio, l’ultimo di Valentino a Roma ha spaventosamente affascinato tutti. Per lo stile, la classe, la location unici, per la magica alchimia creata tra ogni elemento in gioco. Insomma, un giudizio da lode. Ma non sempre è cosi. Dior di John Galliano, ad esempio, nonostante fosse l’evento cult della Alta Moda di luglio, non ha ottenuto lo stesso risultato. Nonostante fosse anche coinciso con l’inaugurazione della Sala Degli Specchi a Versaille”.
Credete ancora nell'advertising tradizionale, quale il suo ruolo nel vostro mix?
"Crediamo nell’advertising. Ma crediamo in formule più complete. Oggi la concessionaria dovrebbe lavorare con l’editore per creare prodotti capaci di collegare maggiormente chi legge e chi investe. A volte, i giornali sono fatti esclusivamente per gli investitori. Una scelta che inevitabilmente svaluta la qualità editoriale del prodotto, assicurandone una ‘discesa’ in picchiata”.
Quali i perché dell'evento 'Carvin Cup Privè'?
“Si è trattato di una provocazione. Una social provocazione, per un brand come Colmar, destinato a comunicare la neve nel suo momento di alta stagione, il mese di dicembre. Carving Cup Privé ha significato la creazione di un happening social, in cui parlare di neve, sci e voglia di montagna, raccontando anche l’importanza di questo sport, ma declinando il tutto all’interno di un aperitivo milanese, chic ed elegante. A base di Ostriche e Champagne, con il Diana hotel come cornice. In una eco garantita dagli ‘amici’ intervenuti, tutti a promuovere il mondo della neve e dello sci. Da Sky a Radio R101, a Fis Carving Cup”.
Diego Della Valle, patron del Gruppo Tod’s, in un recente convegno ha ipotizzato come un domani potrebbe essere che lusso e moda pubblicizzeranno nella stampa il loro sito internet, aggiungendo e non togliendo budget agli editori. Qual è il vostro rapporto con la rete?
“ www.colmar.it è da tempo un grande veicolo di comunicazione per l’azienda e per tutto l’environment che le appartiene. Link a www.eurosport.com, aggiornamenti in tempo reale delle gare di Coppa del mondo, una newsletter con il bollettino della neve. Insomma tutto quanto direttamente e indirettamente conduce al mondo del brand. Continuando anche fuori rete, grazie a ‘In Caso di’ , il nostro trimestrale di sport e tempo libero”.
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