Confindustria: nel bello e ben fatto c’è il futuro. E la comunicazione potrebbe aiutare. E aiutarsi
12/07/2011
Nel senso che di pmi che guardano oltre Alpi ce ne sono non poche. Spesso non strutturate e attrezzate, guardando dritto alla rete come opportunità di espansione in mercati con consumatori di età media 25 anni, non 40. Ma non è stata prettamente la comnuicazione il tema di discussione. Quanto piuttorsto il futuro dei beni di fascia medio alta, riassunto nella seconda edizione di ‘Esportare la dolce vita, Il bello e il ben fatto italiano alle prese con i nuovi mercati' a firma Confindustria. Evideziando in primis come il fare sistema sia per noi chimera. Eppure le imprese, specie quelle di non grandi dimensioni, ne avranno bisogno come la manna per competere, visto che i mercati di sbocco si spostano in aree lontane, per molti oggi ancora troppo costose da raggiungere. Perché per poter sfruttare le occasioni (ci saranno ben 188 milioni di nuovi ricchi nel mondo ) che si aprono per i prodotti italiani belli e ben fatti occorre far rendere al massimo le potenzialità degli attivatori del commercio estero. Ossia diffondere sinergicamente l’Italian style of life (ad esempio, è a firma Oliviero Toscani la nuova campagna voluta dal neo presidente Anci, nonché ad Manas, Cleto Sagripanti, dopo che nel 2010 per l’Associazione si era espressa la creatività 1861 United) lavorando con gli istituti di cultura, ma anche incrementando l’attività di registrazione dei marchi e progredendo nella competitività turistica. Il tutto ricordando nuovamente le difficoltà per le pmi di accedere ai mercati extra Ue (saranno i più dinamici per domanda interna, Asia in testa), dove, tra l’altro, è più efficace sbarcare con una gamma completa di prodotti, più che con singoli, rendendo prioritaria la creazione di reti (allo scopo Confindustria ha di recente aperto una propria sede a Shanghai) e la definizione di facilitatori. A monte e a valle. Pensando anche alle carenze del nostro sitema distributivo.
Insomma, imponendo al nostro paese di fare e di correre, perché gli altri non resteranno certo alla finestra. In ballo, per il 2016, c’è una posta da 40 miliardi di euro in più dei 74 attuali. Di cui l’Italia, se non mutano le condizioni, saprà catturarne 10, ma che potrebbero salire a 11 semplicemente agendo (nel 2009 l’export italiano di prodotti di fascia medio alta valeva il 9,4%. Dunque, a ‘bocce ferme’ nel 2016 arriveremo a 3,4 miliardi di euro in più).
Intanto il nostro paese ha detto addio all’Ice. La speranza è che si possa in fretta sostituire con qualcosa capace di fare la differenza. Pena, perdere il più importante treno dei prossimi 5 anni (ascolta parte del discorso tenuto da Paolo Zegna, vice presidente per l’internazionalizzazione Confindustria, ieri a Milano, in occasione della presentazione della seconda edizione di ‘Esportare la dolce vita, Il bello e il ben fatto italiano alle prese con i nuovi mercati')
Saranno, infatti, pari a 114 miliardi di euro (oggi ne valgono 74) le importazioni di prodotti belli e ben fatti del mondo (+53%). La nuova domanda di prodotti di fascia medio alta proverrà soprattutto da 6 economie. In ordine di rilevanza, Russia, Emirati Arabi Uniti, Cina, Arabia Saudita, Malesia (seconda solo alla Cina tra i paesi dell’Asia emergente) e Polonia(il più importante dei nuovi paesi Ue).
In generale, comunque, la spinta si ha dall’insieme dei nuovi mercati, avendone nello studio analizzati 30. Tra loro, incrementi sopra il miliardo per Messico, Kazakistan, Repubblica Ceca, Vietnam, Ucraina,Brasile e Cile, con l’India appena sotto, ma segnando un +95%. Ricordando che l'insieme di questi new 30 da qui al 2016 competerà al Pil mondiale per il 58%, fornendo ben il 45% del reddito globale.
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