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Marisa Galbiati, docente Politecnico di Milano, responsabile progetto comunicazione visiva


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Il design come vantaggio competitivo

31/10/2007

Contaminazione. Per la comunicazione si consolida l’approccio design oriented. Ossia la capacità di concettualizzare un artefatto comunicativo, sia esso logotipo, immagine coordinata o marchio, all’interno di una visione strategica complessiva. Con il digitale ad amplificare la portata del tutto. Dai progetti di web tv ai brand tale, Marisa Galbiati, docente Politecnico di Milano, responsabile progetto comunicazione visiva, racconta a youmark la vocazione universitaria alla ricerca.

La spinta decisiva l’ha determinata l’avvento del digitale. Come ci spiega Marisa Galbiati: “Questa rivoluzione ha permesso di affrontare progetti per il web, sviluppando competenze per l’interaction design, la fotografia, il packaging, il video, la web tv, quella digitale. Oggi il design della comunicazione è l’insieme di tutte le forme comunicative finalizzate a progettare al meglio ciò che il mercato della comunicazione richiede”.

Quali sono le tendenze più avanzate in tema di comunicazione audiovisiva?
“L’università ha come vocazione la ricerca. Abbiamo cominciato realizzando video istituzionali per le imprese, utilizzando diversi linguaggi: video, fotografia, 3D. E’ poi maturata la necessità di un progetto che rispettasse gli obiettivi dei brand, di qui la definizione di una nuova disciplina, che abbiamo battezzato ‘Movie Design’. Ossia il punto in cui si incontrano le competenze tipiche della comunicazione d’impresa (strategia e creatività), quelle tecniche della cultura audiovisiva (produzione e post-produzione video) e quelle che appartengono al visual design (le retoriche visive). Insomma, l’incorporazione di tre competenze che solitamente si sviluppano in luoghi separati: agenzia pubblicitaria, casa di produzione, studio di grafica. Il tutto grazie alla duttilità delle tecnologie digitali e all’abbassamento dei costi tecnologici. Ciò che ancora è difficile, invece, è la realizzazione di un prodotto che risponda alle richieste dell’azienda, con una creatività brillante ma coerente con la filosofia del brand, oltre che innovativo. In questo momento c’è molto fermento in tema di web television, con la ricerca di nuovi format che sfruttino le potenzialità delle piattaforme tecnologiche. Stiamo, ad esempio, lavorando sulla pubblicità interattiva, ma le aziende sono caute. Mancano ancora dati certi sul target, sia qualitativi che quantitativi”.

Avete in essere nuovi progetti di collaborazione con i brand?
“Abbiamo due fronti di lavoro aperti. Il primo riguarda due progetti didattici relativi a due master: quello in Brand Communication, in partnership con AssoComunicazione, all’interno del quale si sperimentano tutte le nuove frontiere della comunicazione strategica del brand, e il master in Art Direction e Copywriting, in cui si realizza la creatività. Entrambi i progetti creano nuove campagne, con la supervisione dei più importanti pubblicitari del momento. Nel laboratorio di Movie Design, invece, stiamo sviluppando un progetto di web tv per una società che vuole destinarlo a canale per la comunicazione B2B e B2C, e stiamo sperimentando un prodotto che già molti brand (Pirelli, Audi, Bmw) hanno adottato: i brand tale, videoracconti che mettono in scena il brand attraverso la costruzione di una storia, di una narrazione. Secondo noi è un prodotto che avrà un futuro, perché ripropone la ricchezza semantica e visiva del cinema, pur parlando di un’auto o di uno pneumatico. Una ricchezza di cui c’è sempre più bisogno”.

Come comunica il mondo dell’università e del design con quello delle aziende. E’ facile o difficile il dialogo?
“Parlare con le aziende è sempre difficile, mettono al primo posto le esigenze del marketing, sottovalutando il valore di un progetto visivamente interessante. Se appartengono a settori quali la moda o il design, in genere è più semplice, perché parliamo lo stesso linguaggio. Ma se l’interlocutore produce oggetti meccanici o prodotti per l’edilizia, la sensibilità dei manager alle questioni estetiche non è elevatissima, così come la propensione a concepire nuovi prodotti di multimedialità, per gli ambienti, per l’exibit, o per nuove tipologie di comunicazione interattiva.
Esistono, poi, le aziende illuminate. Ci è capitato di collaborare con illy, ad esempio, realizzando concept multimediali per un temporary store a New York, o con Mantero, a Como, per la definizione di una scenografia dinamica a potenziamento della comunicazione nel loro concept store. In entrambi i casi, i risultati sono stati superiori alle aspettative. Credo che le aziende debbano imparare a pensare al design come un driver di innovazione, per difendere la loro posizione sul mercato. Chi l’ha fatto, oggi è in vantaggio”.

Quali sono i Paesi più all’avanguardia in tema di comunicazione audiovisiva?
“In Italia si fa ancora troppo poco. L’audiovisivo non viene ancora considerato strumento a servizio del potenziamento del brand, eccezione fatta per lo spot. A volte viene utilizzato negli showroom, ma racchiuso in piccoli schermi, così da perdere il suo potenziale narrativo. Perché è anche un problema di scala. In Inghilterra, invece, c’è molto più fermento. C’è ricerca per individuare e sperimentare nuove forme di comunicazione audiovisiva, anche applicata a settori tradizionalmente distanti. Ma soprattutto, per trovare nuove superfici, ad esempio urbane, di supporto ai brand. Sul piano internazionale, dall’India, alla Cina, al Giappone all’America latina, c’è molto interesse sulla comunicazione audiovisiva e molti progetti interessanti. Oggi il fanalino di coda è forse proprio il nostro paese".

Cosa comporterà lo sviluppo di nuove piattaforme, dall’avvento del digitale terrestre alla internet tv, al mobile?
“Se le tecnologie sono pronte e le piattaforme disponibili, quello che ancora manca è una regia della comunicazione, un impegno anche culturale nella creazione di contenuti interessanti e coerenti con le tecnologie che li supportano. Non ha senso spostare uno spot dalla televisione al web, si tratta di media diversi, che implicano diverse modalità di fruizione. Va studiato, ricercato e sperimentato un linguaggio ad hoc. Che senso ha vedere una partita di calcio sul mobile? Oggi l’atomizzazione dei media sta comportando una deriva. Forse i grandi editori ci stanno lavorando, ma ci vorrà ancora del tempo prima di vedere qualcosa di effettivamente nuovo”.

Secondo voi lo spot come tradizionalmente inteso è destinato a sparire?
“Lo spot ha dominato la nostra vita dai tempi di Carosello. E ancora oggi penso che abbia un grande potenziale, anche perché, non lo dobbiamo dimenticare, in Italia le persone che guardano la televisione continuano a rappresentare la stragrande maggioranza. Gli ultimi dati indicano che gli investimenti pubblicitari in televisione reggono, mentre sul web mostrano un grande incremento. Ma il dato va letto in termini relativi, così la crescita finisce per occupare una quota ancora molto piccola, non indicativa se il messaggio deve arrivare a un target esteso. Quello che certamente sta cambiando, comunque, è il comportamento complessivo della pubblicità, sempre più relazionale nei confronti dell’utente, per coinvolgerlo, emozionarlo, per stabilire un dialogo. L’aumento delle attività di below the line - eventi, pubbliche relazioni, direct marketing, promozioni, product placement, movie design, guerrilla - vanno lette in questa prospettiva, nell’esigenza da parte dei brand di un contatto più efficace con l’utente”.

Quanto i ‘virali’ rappresentano già il passato del comunicare per chi per mestiere deve guardare oltre. Cosa c’è dopo loro?
"I virali sono l’incarnazione pubblicitaria del fenomeno del social networking, cioè della possibilità da parte degli utenti di accedere agli spazi della rete con i propri prodotti. Oggi YouTube e MySpace, solo per fare due esempi, stanno diventando il vero bacino creativo. La rete si sta riempiendo di simili esperienze, che hanno il grande vantaggio di mettere a disposizione di tutti infiniti database di immagini, video, contribuendo alla socializzazione dei contenuti, ma che mostrano anche la debolezza del meccanismo. Cioè avere una massa enorme di materiale in cui è sempre più difficile orientarsi. Come sempre, come è capitato per la stampa, per la televisione, per la radio, un media non scompare con l’avvento del nuovo. I media rimangono, ma rinnovano le proprie forme e i propri contenuti. I virali non scompariranno, ma probabilmente non avranno più la carica dirompente che hanno avuto all’esordio. Dire cosa ci sarà non è facile. Certo è che le tecnologie ci costringeranno a trovare nuovi linguaggi e nuove proposte: dovremo fare i conti con il mobile, con la diffusione della televisione digitale, con le web television. Forse basta riguardare ‘Minority report’ - Steven Spielberg, 2002 - per avere un’idea degli scenari futuri”.

 

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