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Oggi l'editoriale lo scrivo io/ Luca Giberna - Durable & Disposable

23/12/2010

Quando ero un giovane e rampante account e lavoravo nei primi anni 80 negli 'sciccosi' uffici della BBDO di Londra in Grafton Street nel prestigioso quartiere di Mayfair, tra i Clienti su cui lavoravo uno mi piaceva particolarmente: era Gillette. Ricordo che ai tempi Gillette era leader incontrastata nel mercato dei rasoi, produceva rasoi di ottima qualità, usava materiali particolari e diversi per realizzare le diverse parti di in rasoio, si preoccupava dell’ergonomia dell’oggetto, della sua gestibilità durante l’uso, dell’estetica e soprattutto, cercava la massima performance in quello che era lo scopo per cui era concepito un rasoio: dare una perfetta rasatura con il massimo del piacere, evitando tagli, arrossamenti della pelle, peli strappati e tutta una serie di inconvenienti che tutti gli uomini conoscono bene. 

L’oggetto in questione era costituito da un manico di un bel metallo luccicante zigrinato in testa al quale venivano fissate le lamette bilama che dopo circa 20/30 rasature venivano sostituite con un nuovo set di lame. Le lamette di ricambio venivano vendute separatamente in un astuccio di plastica. A turbare questa leadership incontrastata arrivò come un fulmine a ciel sereno una aggressiva azienda francese famosa per aver già rivoluzionato il mondo della scrittura e per il suo fondatore, il Barone Bich. 

Bene Bic mise sul mercato un orribile rasoio di plastica bianca con un altrettanto orrendo salvalama di cartoncino giallo a un prezzo incredibilmente basso e con una caratteristica particolare: lo si poteva usare una volta sola, alla seconda si rischiava di devastarsi il viso, dopo l’uso lo si buttava via e se ne usava un altro. 

Questa formula 'usa e getta' è poi entrata nella nostra vita quotidiana per indicare quei prodotti che compriamo, usiamo una volta soltanto e quindi buttiamo via: ci sono fazzolettini 'usa e getta', pannolini 'usa e getta' e appunto rasoi 'usa e getta'. Usa e getta è la traduzione dell’inglese 'Disposable' che appunto significa monouso, a perdere, che si getta dopo averlo usato. 

Il rasoio Bic non aveva velleità di dare una rasatura soddisfacente, semplicemente serviva per risolvere una pratica per molti noiosa come quella del dover farsi la barba. Il 'core target' di questo prodotto era costituito da uomini che non davano grande importanza alla rasatura, che non si facevano la barba tutti i giorni, e per i quali un viso perfettamente a posto non costituiva un fatto importante. 

Il vantaggio era un prezzo irrisorio - considerando il singolo prodotto - e una certa comodità in quanto non essendo oggetto di valore poteva essere buttato, perso o altro senza sentire nessun peso o responsabilità. 'Tanto costa poco o niente e ne comprerò un altro'. Il prezzo di un oggetto o di un servizio ci aiuta immediatamente a stabilire il suo valore percepito e il suo grado di desiderabilità. 

Un prezzo alto crea aspettative in termini di qualità, durata, performance e servizio. Un prezzo sbagliato può completamente rovinare un prodotto, sia che sia posizionato troppo in alto o troppo in basso. Di solito ci si chiede: 'ma vale il prezzo che costa?' Decidere il valore di una cosa è un fatto assolutamente personale, per alcuni la durata e la qualità oltrepassano qualunque livello di prezzo. Una auto sportiva, una borsa di Gucci, un abito sartoriale, un computer Apple, una tuta da jogging della Nike: per molti hanno prezzi insensati per altri no. 

Tornando al discorso del 'durable versus disposable' dobbiamo prendere atto che si sono formate due culture: una che privilegia la facilità, la velocità, l’economicità, il preconfezionamento di un prodotto o di un servizio, ed un’altra che privilegia la qualità, la sicurezza, l’affidabilità e la durata. 

Quello cui ho assistito in questi ultimi 20 anni vissuti nel mondo della pubblicità è che anche noi pubblicitari siamo - ahimè - diventati nella maggioranza dei casi 'disposable', veniamo usati una sola volta e anche se abbiamo dato buoni risultati, veniamo buttati e sostituiti da altri e così via in una spirale che tende a pagare sempre meno un prodotto o un servizio e che non riconosce più valori che fino ad alcuni anni fa erano alla base della scelta di una agenzia o di una casa di produzione. 

E’ giusto diventare tutti Bic o c’e spazio per rimanere Gillette? Molto dipende dal mercato nel quale ci muoviamo è vero ma, essendo noi stessi attori principali, molto dipende anche da noi e da come vogliamo proporci: vogliamo tentare di essere ancora 'consulenti' o preferiamo essere considerati 'fornitori'? 

Nel primo caso ci dobbiamo assumere maggiori responsabilitò, nel secondo la deleghiamo ad altri. Io sono fermamente convinto che il turnover di manager, agenzie, case di produzione che c’è in pubblicità in talia sia assolutamente controproducente alla creazione di quei valori immateriali per cui siamo o dovremmo essere chiamati in causa: se sai che il tuo mandato è a scadenza cerchi di lavorare su valori più effimeri e sorprendenti piuttosto che proporre un progetto serio ma di minor effetto. 

Non starò certo a fare citazioni di campagne di successo ma quel che è certo è che in maggioranza sono frutto di lunghe collaborazioni, di lavoro in team, di conoscenza e feeling maturati nel tempo e quindi figlie del ….'durable'. 

Tra pochi giorni è Natale, auguri a tutti e una preghiera: fate regali che non si debbano gettare dopo poco tempo perché uno dei maggiori problemi di questi anni è lo smaltimento dei prodotti usati e il loro riciclo. Persino Bic è stata costretta a creare una operazione 'BIC recycle' per lo smaltimento dei rasoi usati usando come spot……quello vecchio riciclato del 1995 con Eric Cantona. 

Buon Natale a tutti 
Luca Giberna, presidente BlowUpFilm

 

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