I giovani partecipano e il web 2.0 insegna. E' cambiamento sociale, non mediatico
19/10/2010
Geek che aspirano a diventare miliardari (dice niente un certo Mark Zuckerberg?). Comunità di amici che si ritrovano davanti allo schermo di cellulare o pc, più che al bar sotto casa. Il marketing strappato alle aziende dal passaparola dei cittadini. E ora anche la politica. E’ l’era del crowdsourcing, per cercare nuove idee dal basso. Tra i giovani, chiedendo ai piani alti della società di realizzarle. Una rivoluzione che è molto più che tecnologica. E’ di valori, di costrutto sociale. Assolutamente oltre il media, che non è più mezzo su cui investire, ma ecosistema da cui imparare. Avvertendo del clamoroso errore di chi vuole reiterare qui le logiche del passato. Youmark ha approfittato del recente BarCamp, svoltosi sabato 16 ottobre, a Roma, per parlarne.
Molti avranno già letto dell’evento, sicuramente su Facebook, perché è lì che sta la gran parte degli italiani attivi sui social network (13 milioni per 6 ore al giorno di media) e perché da lì è partita la campagna virale ‘Se io fossi Ministro…’ (cercando di capire cosa i nostri ragazzi farebbero per migliorare l’Italia, in 200 caratteri), che ha lanciato il concorso ‘La tua idea per il Paese’, frutto del brainstorming tra Ninja Lab e l’associazione ItaliaCamp (composta da giovani laureati, ricercatori, imprenditori e liberi professionisti, di eta compresa tra i 25 e i 35 anni e presieduta da Pier Luigi Celli, direttore generale dell’Universita Luiss Guido Carli), in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Obiettivo, promuovere la raccolta di proposte concrete sulle aree che piu incidono sul bene comune. Ricerca, scienza e tecnologia; lavoro e impresa; energia e infrastrutture; cultura e societa; economia, finanza e mercati; politica, istituzioni e pubblica amministrazione (le idee scelte per sostenibilità economica, esportabilità e virtuosità, verranno effettivamente affiancate da apposite ‘unità di progetto’ - Italia Units - incaricate di supportarne la concreta realizzazione).
Interessante, dunque, capire quanto il crowdsourcing potrà svilupparsi per servire anche le cause più nobili del paese, alla luce del contemporaneo quadro dei giovani italiani in rete. Lo abbiamo chiesto ad Alex Giordano, Ninja Lab, componente del comitato scientifico dell’area tematica Innovology.
“C’è un' attitudine generazionale che fruisce di un universo mediatico molto più complesso, che vede una funzione integrata dell’utilizzo dei media, con la possibilità di instaurare dei feedback e delle relazioni online. E non si tratta solo di opportunità tecnologiche, ma di nascita di un nuovo modo di essere cittadini, diventando veri e propri ‘media’, in grado di dire la propria, in modo attivo. Singoli personaggi che danno un contributo di senso alla collettività, tramite la creazione di blog, o lo sharing di messaggi sui social media.
In tal senso l’universo del 2.0 appare quasi obsoleto, stiamo andando verso un nuovo ecosistema, fatto sì dalle tecnologie che lo compongono (per esempio i social media), ma anche e soprattutto dalla comunità immaginata dalle persone che lo frequentano. L’aspetto critico è valoriale. Una certa attitudine all’utilizzo di questi mezzi prevede, infatti, una rimpaginazione del rapporto verticale tra potere e cittadino, al di là del mercato, verso una dinamica di relazioni orizzontali per rimettere in circolo trasparenza e meritocrazia .
Da un punto di vista evolutivo, il web 2.0 ha recuperato l’istinto di sopravvivenza del’uomo. Dietro le parole coogeneration e network society si nascondono valori come solidarietà, autenticità, relazioni, contrapposti all’individualismo che sembra invece pervadere la nostra realtà offline. Le conversazioni nei social media sono tra comunità, non tra singoli, quindi è interessante verificare il valore di legame che queste comunità danno al loro stare insieme. Il senso dell’atto spontaneo e gratuito dell’agire online è finalizzato proprio all’agire sociale, se non avessimo amici su Facebook, che senso avrebbe esserci iscritti?
Il cambiamento è nelle mani dei nativi digitali, dei giovanissimi che mutueranno sul piano cognitivo la loro attitudine a questi mezzi. Per questo non siamo che agli inizi. Oggi tutta l’attenzione è ancora rivolta all’aspetto socio-mediatico, nel tentativo di cercare il modo di interagire in maniera opportunistica con il nuovo, reiterando le vecchie forme mentis. La nostra idea, invece, è sempre stata di lavorare dal basso per scardinare la vecchia mentalità, per portare nuovi valori. Non bisogna più vedere i media come mezzo su cui investire, ma come nuovo ecosistema da cui imparare. E le aziende, ancora, non sono pronte a farlo, per cui il marketing può solo inquinare questo inevitabile viaggio evolutivo. Dovrebbe smettere di essere quello deciso a tavolino, aprendosi a quello che dicono le persone. Mentre passeggiano, mangiano, o sono davanti al pc. Perché il ruolo dell’immaginario sta passando dalle mani dei dipartimenti marketing a quelle dei cittadini.
Per questo il futuro del marketing non è nelle mani delle grandi multinazionali, ma delle nuove start-up. Unite in network per passare dal marketing al societing, in maniera meno predatoria. Le aziende, infatti, devono imparare a superare ii confini di ragionamenti ristretti al proprio mercato, per sentirsi soggetti sociali a tutto tondo, che operano in un contesto sociale. Ed è l’unico sistema per uscire dal fallimento e dalla crisi del presente”.
Dal nostro corrispondente su Roma, Francesca Mautone
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