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Tv digitali, tra legge audience e profitto

16/10/2007

Il nodo della questione sta tutto lì. Contenuti e business. Se da un lato il digitale, così come il resto dell’innovazione tecnologica che inevitabilmente impatterà sulle sorti della prossima tv, apre a scenari allettanti e sperati. Dall’altro il timore di perdere i numeri che sostengono il grosso della torta pubblicitaria non è quisquiglia. Perché rischiare di cannibalizzare le grosse audience, quando il successo di Sky in Italia è per il 90% imputabile agli abbonamenti e solo per il 10% all’adv?

Ne hanno parlato ieri, in una tavola rotonda organizzata dal Politecnico di Milano in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Francesco Siliato 'Televisione digitale', alcuni protagonisti del panorama tv italiano, in compagnia del ministro delle Telecomunicazioni Paolo Gentiloni. C’erano Giuliano Adreani, amministratore delegato Mediset e ‘capo’ Publitalia; Maurizio Braccialarghe, amministratore delegato Sipra; Sandro Parenzo, presidente Mediapason e Fabrizio Piscopo, direttore generale Sky Pubblicità. 

Ognuno schierato a suo modo di fronte alla questione della ‘famigerata’ legge sulla riforma delle tv, che peraltro Gentiloni ha assicurato vedrà luce prima dei tre anni post elezioni che servirono al governo precedente per approvare la ‘sua’, annunciando che a novembre dovrebbe essere in camera dei deputati.

Perché le questioni in ballo sono tante. A partire dall’anomalia del sistema italiano. Tutti sembrano invocare la ‘liberalizzazione’. Il punto sta nel come. O meglio se ‘aiutarla’ o lasciare che le nuove tecnologie aprano al futuro. Per Gentiloni l’intervento governativo è necessario. Ci sono paesi che hanno influito sul numero dei canali che un editore può possedere, altri, come gli Usa, sull’ammontare dell’audience.

Potrebbe esserci anche la via del limite alla raccolta, ricordata da Parenzo quale unica possibilità per i ‘piccoli’ che, in assenza di una redistribuzione delle risorse, sarebbero addirittura penalizzati dal proliferare dei canali digitali. E’ come un gatto che si morde la coda. E il ragionamento parte dai contenuti. La tv digitale da noi non decolla perché si può dire che ancora non esista, fatta eccezione dell’offerta Sky nel satellitare e di pochi sporadici casi di successo nel terrestre. Entrambi, comunque, continuano a restare aggrappati a ‘nano share’, nell’ordine di decine di migliaia di telespettatori, contro i milioni della tv generalista. 

Dito puntato sulla concentrazione del nostro oligopolio. Ci si chiede come i suoi protagonisti possano ‘credere’ nel digitale quando il loro business è collegato al costo contatto garantito dalla tv tradizionale, che si confronta con un ‘nuovo’ ancora non profittevole. Il tutto enfatizzato dalle caratteristiche del mercato pubblicitario nostrano. Certamente non enorme, con una frequenza dei messaggi così elevata da risultare invasiva. 

Di contro, Andreani smentisce paure di ‘cannibalizzazione’, sottolineando il credo Mediaset nel digitale. E non, come insinuato, solo per scongiurare il pericolo di oscuramento di Rete 4. “L’acquisto di Endemol è stato funzionale ai contenuti, così come l’organizzazione di una struttura di vendita ad hoc, capace di creare cultura sulle nuove piattaforme, che comunque ancora non rendono, lo è per presentare le nuove opportunità al mercato”. A sostegno della tradizione i dati di questi giorni, che, nonostante le ubriacature delle nuove piattaforme, mostrano come tv, radio e giornali diano ancora i maggiori ritorni. “Perché la pubblicità è una risorsa per le aziende, che decidono liberamente di investire nel mezzo con i maggiori risultati”.

Per Braccialarghe non si tratta solo di un problema di audience. Editori e concessionarie devono misurarsi sulla capacità di offrire alle aziende soluzioni innovative per raggiungere i target di riferimento. Non vincere la sfida che il multimediale impone significa essere automaticamente puniti dagli inserzionisti. Oggi ogni prodotto editoriale deve essere pensato declinandolo sulle diverse piattaforme. E' anche il linguaggio pubblicitario che deve adeguarsi al cambiamento, seguendo la contaminazione trai media e le sue nuove opportunità.

A fare lezione a questo punto è Sky. Come Piscopo ricorda, infatti, dalla sua nascita nel 2003 Sky pubblicità ha dovuto ragionare su ascolti di nicchia, distribuiti su diversi generi. Coda lunga, infatti, significa fine dei grandi numeri da ‘hit parade’. Oggi ci sono tanti consumatori con gusti diversi, che vogliono trovare un ‘negozio’ in grado di soddisfarli tutti. Non a caso gli abbonati Sky sono passati da 1.700.000 ai 4.250.000 attuali. Ma è anche vero che a loro si deve il 90% del fatturato, con la pubblicità relegata appena al 10.

Ecco perché illuminante appare la sibillina conclusione di Siliato, che nominando la ‘pubblicità interattiva’ la candida a nuova opportunità di sperimentazione futura.

 

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