Agenzie, è vero. Chi è causa del suo mal pianga se stesso
27/04/2010
Ci sembra, infatti, che i presupposti per voltare pagina ci siano tutti. Da un lato la crisi che, pur lungi dall’essere manna dal cielo, nella negatività dei dati ha quantomeno aiutato il sistema nella riflessione, focalizzando l’attenzione su costi, redditività, economicità, efficacia ed efficienza. Dall’altro, AssoComunicazione che, archiviata la paventata unificazione con Unicom (onestamente più svantaggio che vantaggio per l’identità di questo mercato, senza di contro riuscire a elevare il numero degli associati al punto da garantire peso economico e politico al comparto), torna all’attacco volendo essere sinonimo di qualità. Il che significa anche recupero della dignità di un settore, a volte troppo prono al volere del mercato.
Essere flagellati per passati esosi guadagni, infatti, non ha più senso. Oggi i problemi della scarsa remunerazione iniziano a pesare eccome, su più fronti e a più livelli. Dalla qualificazione del personale all’attrattività della professione, alla possibilità di innovare e stimolare. In nome della crisi, la maggior parte delle agenzie si trova a litigare con il proprio conto economico, che a stento sta in piedi. Allora perché (di qui il monito che ha fatto da titolo al nostro pezzo) queste realtà non trovano insieme una via d’uscita? In fondo a fare il mercato sono 20-25 sigle. Perché non si parlano, perché non comunicano? Ed è molto diverso dal fare cartello. Qui il punto è fare la differenza.
Peter Grosser, vice presidente di AssoComunicazione, ci sta seriamente provando. Speriamo che in molti capiscano quanto l’occasione non si possa sprecare.
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