I social media hanno superato il porno come prima attività nel web
20/04/2010
Sicuramente un titolo riduttivo per introdurre il senso del fenomeno, ma da noi scelto perché altrettanto d’effetto, considerando come per tempo la rete avesse vissuto il limite del porno soprattutto. Un espediente, dunque, per dire come i social network rappresentino lo sbocco della nuova era. Di una rivoluzione che cambia tutto, irrevocabilmente. Che ha già innovato. Magari non tanto nel senso, ma sicuramente nei modi, appropriandosi la sfera individuale di un potere prima sconosciuto. Che amplifica, allarga, inonda. Una sorta di recupero del ‘dialogo da bar’, ma in ottica globale. Unito alla necessità di cocreazione, chiamando in causa la sherability. Al punto da minare anche i giovani competitivi equilibri internettiani, facendosi i social network gateway nella fruizione di notizie e informazioni, superando le stesse url dirette degli editori.
Ieri, a Milano, presso l’ Università Cattolica del Sacro Cuore, grazie alla Conversazione Iaa 'Social Media: nessun canale, conversazioni spontanee tra persone reali', ne hanno discusso Giuliano Noci, vicedirettore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, Simone Lovati, partner di Adv Boucle-Strategic Minds, e Maurizio Mazzanti, partner e direttore creativo E3.
Obiettivo, offrire spunti di riflessione. Molteplici, ma sempre concordi nell’esortare il marketing a non ignorarli. Meglio, l’intera azienda. Perché questo meccanismo di buzz, di partecipazione, di conversazione, finisce per impattare esponenzialmente sull’organizzazione stessa dell’impresa, sui suoi processi, chiamando in causa la revisione dei modelli predefiniti di ieri. Insomma, se il primo a dover fare i conti con il fenomeno è stato il marketing, non resterà a lungo il solo, considerata la pervasività di questo cambiamento.
Solo due dati. Dal 2007 al 2010 il tempo passato nei social network è triplicato. Dalle 2 ore e 10 minuti del passato alle 5 ore e mezzo che 19,2 milioni di utenti lì oggi trascorrono (contro i 14,1 milioni delle news). Mostrando feedback specialmente con l’universo entertainment (20,2 milioni), tanto che lo sharing diventa tramite per incrementare il traffico nei siti degli stessi editori. Lasciando immediatamente percepire come anche quelli di marche e aziende possano identificare in questi fenomeni linfa per diffondere le proprie url.
Senza dimenticare il potere del passaparola, perché gli utenti che sono disposti a diventare fan delle pagine di brand, sicuramente diventeranno i loro migliori ambasciatori. Per convinzione, o per vantaggio. Il do ut des, infatti, resta comunque il motore primo nelle relazioni, con la tangibilità di un ‘premio’ a potersi farsi discriminante. Dalla partecipazione a eventi esclusivi a promozioni speciali, lasciando in ognuno il senso di una scelta di valore. E in un momento in cui l’efficacia dell’advertising tradizionale mostra segni di cedimento, poter contare sulla facoltà di colpire 500 selezionate persone capaci di coinvolgerne milioni è sicuramente plus. Ricordando che chi parla di un brand non è perché tiene a lui, ma perché tiene al suo amico.
Ma per riuscirci l’opera prima è l’ascolto. Perché in rete sono le persone a conversare, mentre i brand troppo spesso abdicano, avendo bisogno invece di imparare a farlo, di essere educati. Sapendo che qui la tempestività di risposta è tutto. E che i social network non sono tutti uguali (Wikipedia ne conta ben 178), richiedendo l’analisi una verticalità di contesto e target. Twitter, Linkeding, Facebook, mySpace, Netlog, Freindfeed, e molti altri ancora.
Le aziende, insomma, devono essere aiutate a cambiare. Ed è necessità. Perché si è trasformato il processo d’acquisto. Con l’acronimo 'aida' ad avere modificato il proprio senso. Sempre più difficile avere attenzione, meglio puntare all’ingaggio, che significa interesse, sharing e dunque azione, mettendo in primo piano la dimensione cocreativa dell’individuo. Abbandonando l’idea di poter ancora operare in atmosfere controllate, così come la distinzione tra azioni above e below the line, facendo invece assurgere a strategico il media planning, vedendo nell’interazione di canali il mezzo per la creazione di valore. Ascoltando, dunque, nel fine di ricercare un mercato con individui all’opera spontaneamente.
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