Retail Ecology. Comunicare nel pdv è una scienza
03/10/2007
Perché lo spiega a youmark in un’intervista esclusiva Jim Lucas, executive vice president and director shopper marketing division Draftfcb Chicago. Che avverte: “La store loyalty sta soppiantando la product loyalty”.
Due facce della stessa medaglia. Così la ‘Retail Ecology’ interpreta la comunicazione nel pdv. Perché consumatore e insegna sono strettamente correlati. E uno non può prescindere dall’altro. Ecco che allora, all’inizio del processo che deve identificare come ‘parlare’ e a chi, c’è l’individuazione di quale atteggiamento dell’acquirente sia più funzionale all’insegna o al brand. Per poi soffermarsi, successivamente, sul comportamento d’acquisto vero e proprio. Per ultimo, una sorta di mappa traccia il percorso seguito dal consumatore, identificando le opportunità non ancora esplorate per raggiungerlo e influenzarne il comportamento d’acquisto.
In pratica, la ‘Retail Ecology’, si concentra sullo sviluppare una gerarchia del messaggio per la comunicazione in-store. Assicurandosi che i consumatori ricevano quello giusto, nel posto giusto e al momento giusto del loro percorso di acquisto.
Di questa, che potremmo definire una scienza, Jim Lucas, executive vice president and director shopper marketing division Draftfcb Chicago, è uno dei maggiori esperti mondiali. In vent’anni di attività è stato consulente per Burger King, Frito-Lay, Kellogg’s, Kroger, McDonald’s, Mervyns, Procter & Gamble, Quaker Oats, Sears, Target, Usps e Walgreens.
Internet e il web 2.0 hanno cambiato l’atteggiamento e il comportamento dei consumatori quando entrano in un negozio?
“Assolutamente sì. Quello che abbiamo notato di recente è che i consumatori che effettuano il pre-shopping online trascorrono circa il 40% di tempo in più nei punti vendita rispetto a coloro che non lo fanno. Il coinvolgimento online amplifica il rapporto con la marca e supera il puro ‘contatto’ nel punto vendita, creando una sorta di legame affettivo che spinge anche ad essere più fedeli nei confronti di alcuni brand presenti in rete. Avere un piede nel web diventa sempre più uno strumento importante e strategico, da cui anche il retail tradizionale trae benefici”.
Da una recente ricerca Deloitte è emerso che i punti vendita sono il più importante luogo di comunicazione per un brand. Più che l’advertising, più che internet. Sei d’accordo?
“Come non potrei esserlo. Se pensiamo che tra il 65 e l’80% delle decisioni di acquisto avvengono in negozio, a seconda della tipologia di prodotto o del Paese, e che il negozio è l’unico luogo che consente una relazione quasi viscerale fra consumatore e prodotto prima dell’acquisto. Ecco perché è il posto ideale per comunicare. Non a caso P&G definisce lo store come ‘il primo momento di verità’. Stando ad alcune ricerche, nel mondo starebbe aumentando la ‘store loyalty’, in contrapposizione alla ‘product loyalty’. In genere le persone hanno più contatti con un punto vendita che con i brand in se stessi. Alcune insegne sono diventate veri e propri media in grado di esprimere valori e incarnare stili di vita. Come Ikea”.
Senza dimenticare il plus della diffusione
“Come no. Nel mondo sono stimati 59 milioni di negozi. Ovunque si guardi, abbiamo constatato che mediamente la tipica casalinga compie dalle 150 alle 200 visite l’anno in un punto vendita. Anche il più piccolo negozio in Messico o quello in uno sperduto paesino dell’India ricevono frequenti visite. Infine, consideriamo il fatto che 138 milioni di shoppers passano ogni settimana da Wal-Mart”.
Quali sono le principali differenze fra Stati Uniti e Europa nell’evoluzione degli stores?
“Competizione e concentrazione sono una peculiarità prettamente europea. Questo ha implicato una minore crescita, soprattutto nell’Europa dell’Ovest. I retailer sono dovuti diventare più intelligenti per sopravvivere. Mentre, per contro, le grandi insegne detengono maggiori quote di mercato. Negli Stati Uniti c’è meno concentrazione, con le grandi insegne che hanno una quota media di mercato pari al 20%”.
Quali le conseguenze dello sviluppo dei mercati dell’Europa centrale e orientale?
“La crescita ha attratto molte insegne europee, da Metro a Carrefour a Tesco. E le ha costrette ad essere più creative. Alcune, come Tesco, si stanno muovendo su più fronti: acquisizioni, partnership, aperture dirette, e così via”.
Come operate nella vostra divisione? Cosa fate esattamente?
“Aiutiamo i clienti a ottimizzare l’esperienza retail. Gran parte della nostra abilità deriva dal capire come la gente acquista e come reagisce all’ambiente circostante. Questa conoscenza rende più facile comunicare con il consumatore nello store e, non ultimo, aiuta le vendite”.
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