Web 2.0, alla ricerca di un modello di business
01/10/2007
Diverse le opportunità aperte dalla ‘rivoluzione’ web 2.0. Molteplici gli attori, dalle Telco alle internet company, dall’advertising ai contenuti, dalle aziende al loro pubblico, consumatori, clienti, dipendenti. Ma ancora non c’è un modello di business, seppur i video traccino la via dello sviluppo emozionale, ‘spiraglio’ per la valorizzazione dell’adv online. Intanto tra pubblicità tradizionale e consumatore è piena crisi. Come racconta questo virale a firma Microsoft.
Di parole se ne potrebbero dire tante. Discutendo su definizioni, innovazioni e passaggi. Forse è anche vero che nulla di drastico è accaduto, se non l’evoluzione progressiva del più recente passato. Certo è che il web 2.0 ha realmente segnato un punto di svolta. Forse, come i più sostengono, di non ritorno. Rispetto al modo di intendere la rete, ma soprattutto nella creazione di una cultura nuova, di una nuova modalità sociale. L’impatto è dirompente, capace di costruire masse critiche prima impensate, di garantire numeri esorbitanti, di definire nuove opportunità di business.
E qui sta il punto. Nonostante nella carta tutto funzioni a meraviglia, in pratica ancora manca un modello per sfruttare economicamente le potenzialità della rivoluzione 2.0. Eppure è lì che tutti si stanno buttando. Pensiamo a Nokia, sempre meno produttore di telefonini e sempre più ‘servizio’. Come dimostra, tra le altre, l’acquisizione di Enpocket, per l’advertising mobile. Ma non solo, Rupert Murdoch appena due anni fa acquistava il controllo totale di MySpace. Microsoft (fonte 'Wall Street Journal') starebbe per mettere mano al portafoglio per il 5% di Facebook, il social network nato appena tre anni fa per gli universitari, oggi fenomeno allargato a tutti, anche all'upload da fonti esterne.
Dell’acquisto Google, poi, nulla è più segreto. A fine agosto è stato anche annunciato che i video di Youtube avranno l’advertising. Perché era inevitabile che prima o poi il miliardo e sessantacinque milioni di dollari sborsati lo scorso ottobre avrebbero ‘gridato vendetta’. Insomma, nonostante l’eccezionalità dei progetti, l’entusiasmo per i numeri e il valore della partecipazione, alla fine i conti li fa il bilancio, portando a chiedersi: ‘where is the beef?’ Perché è ancora difficile ‘guadagnare’.
Se, infatti, l’opportunità che contenuti e accessi siano gratuiti è ormai fuori discussione, non altrettanto scontata è la garanzia di copertura da entrate pubblicitarie, o da altre forme di remunerazione. Nel mobile si riprova a scambiare pubblicità con servizio, garantendo ai brand la profilazione del target. Ultimo nato Blyk, network inglese dedicato ai 16-24enni, che nel resto d’Europa sbarcherà solo nel 2008. Piuttosto che Puddingmedia, soluzione che si ‘permette’ di ascoltare le conversazioni dell’utente, inviandogli solo pubblicità coerenti.
Detto ciò, nessuno nega il ‘valore’ del solo ascolto, offrendo al proprio mercato la possibilità di dialogare. Ma non basta. La contestuale finalizzazione dei dati è sicuramente più importante. Peccato che le aziende raramente attivino strumenti di monitoraggio, controllo, reazione. Così le opportunità di sfruttare strategicamente il ‘pensiero’ dei navigatori resta volontà inevasa, sprecando ulteriori occasioni. Lo ha sottolineato Denise Kalos, managing partner dell’americana Hinchcliffe & Co, leader nella fornitura di servizi professionali web 2.0, durante l’incontro del 28 settembre ‘Telco & Media, convergence in the web 2.0 era’, promosso da Reply. Esempio riuscito, il modello California Small Business Association che, seppur di modeste dimensioni, per ‘bontà’ è stato ripreso da società di ben altro tenore.
Il punto è che oggi il vero valore sono i dati e la conoscenza del proprio utente, innescata dall’interazione. Ecco perché in molti vedono in ’upload’ la parola del futuro. Così, più che continuare a sottolineare la velocità con cui gli utenti possono scaricare file e contenuti, dunque, la comunicazione delle Telco di 'domani' si concentrerà sulla rapidità del caricamento.
Ma oggi, in Italia, si guadagna con il web 2.0 e se sì, come? E’ stata la provocazione lanciata da Alan Friedman, giornalista esperto di economia, agli ospiti della tavola rotonda seguita all’incontro. Abbastanza ‘desolanti’ le certezze. Walt Disney Television, ad esempio, crede nell’Iptv, che tra l’altro cresce a ritmi del 100%, ma, come spiega Giorgio Stock, managing director & senior vp, su un fatturato che nel nostro Paese vale centinaia di milioni di euro, l’Iptv corrisponde solo al 5%, imputando molto ai tradizionali 'rapporti' con Rai, Mediaset, Sky. Il web 2.0, dunque, oggi per Disney ha valore soprattutto in seno a obiettivi di brand awareness, piuttosto che di sperimentazione di contenuti.
Neppure Mediaset guadagna con l’online. Yves Gonfalonieri, director Rti interactive new media, ricorda come il nostro sia il costo contatto più basso d’Europa. Indicando anche nella mancanza di emozione il limite allo sviluppo di questa forma di pubblicità. Non a caso, prima che all’advertising, Mediaset pensa ai contenuti, a modalità di fruizione e distribuzione alternative. Ad esempio, la così detta ‘snack tv’, programmi in pillole che possano generare un consumo parallelo fruibile a richiesta, anche su mobile. In merito all’emozione, poi, è grazie al ‘video’ che l’advertising online supererà l’empasse, potendosi anche connettere in modo contestuale ai contenuti. Ne è convinto Federico Grosso, global vp business development blinkx , motore di ricerca video. E’ in questa direzione che devono muoversi pure le nostre agenzie di pubblicità, così come già stanno facendo quelle americane.
Se l’advertising in rete non riesce a fornire adeguate risposte di business, per Umberto Luciani, marketing & content director MySpace Italy, la colpa è dei media buyer, che non hanno ancora capito come usare il web 2.0. Per soddisfare la richiesta di Rupert Murdoch, di essere redditizia per il 2008, la nuova filiale italiana di MySpace, nata nello scorso gennaio, punta sul ‘branded content’, una sorta di web 2.0 product placement, con cui costruire progetti su misura.
Guarda al futuro Pietro Scott Jovane, country manager Microsoft online services group, per il quale, nonostante le poche certezze, stiamo parlando di un processo inevitabile. Oggi il valore del ‘software’ business nel mondo è pari a 150 miliardi di dollari, sicuramente superiore a quello della pubblicità online, che al massimo tocca gli 80. Per il 2010, però, le stime parlano di sorpasso, con l’online advertising a superare il software. Ecco perché è lì che Microsoft sta puntando. Senza dimenticare che, secondo una ricerca svolta dalla stessa azienda, la probabilità che un utente ha di ‘recepire’ un prodotto è quattro volte superiore se si inserisce nei contenuti di un blog, piuttosto che se viene veicolato da un messaggio pubblicitario, anche se all'interno del blog medesimo. Perché il feeling tra pubblicità tradizionale e consumatore è in ‘aperta’ crisi.
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