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Marco Lombardi
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Agenzie e creativi, siete pro o contro 'la folla'?

22/01/2010

Una domanda che tutti dovrebbero porsi, imparando a rispondere oltre i propri interessi di parte, esaminando solo il ‘bene’ di un mercato, il livello di efficacia, efficienza e, perché no, valore della comunicazione delle marche. E’ quanto ha provato a fare Marco Lombardi, presidente Y&R Italia, nel suo intervento al convegno ‘Crowdsourcing experience - Logiche collaborative nell’Enterprise 2.0’, svoltosi lo scorso mercoledì, presso la Iulm di Milano. Perché il fenomeno è sempre esistito. E’ che oggi le tecnologie, soprattutto il web 2.0, ne hanno ampliato le potenzialità, coinvolgendo tutti. Con indiscussi vantaggi. Sicuramente risparmi di costi e tempo. Non altrettanto scontato, invece, un benevolo giudizio in merito alla qualità. Tirando in causa il senso della relazione, contro l’occasionalità di un rapporto mordi e fuggi. E dimostrando che il nuovo concetto di midnight advertising con l‘attualità c’entra eccome.

Web 2.0, il potere di tanti, la saggezza della folla, il crowdsourcing, la creatività open-source sono ormai una realtà e forse un’opportunità per l’industria della comunicazione e per i creativi. Dovremmo partecipare, trarne ispirazione, togliere il ‘guinzaglio’ presente in ogni agenzia e non esserne spaventati. Ma attenzione, se collochiamo questo nuovo potenziale in una prospettiva storica scopriremo che stiamo amplificando all’ennesima potenza i vantaggi, ma anche i difetti, di quanto l’offerta di creatività ha sempre fatto. 

Il rischio è che ci si trovi di fronte solo a un’ennesima forma di procurement (secondo Campaign un accanimento fra le cause principali dei problemi e dei cambiamenti dell’ultimo decennio
) o, peggio, che l’apertura al nuovo sia in realtà un balbettio che mima il lavoro delle major rinunciando alla famosa provocazione di Steve Jobs Stay Hungry, Stay Foolish, secondo noi unica ragione di esistere della nuova offerta creativa. Completiamo quindi la frase con …Or Perish! Vediamo in dettaglio.

Le agenzie, sin dai tempi delle ‘chiese’ di Madison Avenue degli anni ’40 e ’50, hanno avuto attorno un mercato parallelo di ‘creatività’, spesso prodotto senza volerlo da loro stesse attraverso il nascosto e illecito moonlighting dei reparti creativi per altre agenzie o direttamente per clienti. Negli anni si è poi affermato il ruolo di professionisti (spesso coppie, art e copy) free-lance alimentato dall’abitudine aziendale di chiedere più idee creative a diverse fonti (spesso con un pitch formale, una gara) o ancora da parte delle agenzie stesse per avere un aiuto esterno in momenti di affollamento di lavori o di crisi progettuale. 

Ma non solo, ai free-lance si sono uniti gli spin-off, piccole unità - indipendenti o legate alle agenzie maggiori - con una missione altamente creativa, i centri media (e molte agenzie specializzate in direct marketing o PR) che offrono anche servizi creativi tradizionali. Aggiungiamo i media stessi, clamoroso il comportamento di Fininvest che, aprendo nei primi anni ‘80 le proprie televisioni private, offriva campagne pubblicitarie ‘chiavi in mano’ (creatività, produzione, media) spesso pagate con royalties (il rischio non era più dell’azienda) sulle vendite dei prodotti reclamizzati o in cambio merce o con dubbie fatturazioni fuori dall’anno fiscale di competenza della programmazione televisiva effettiva (Finvest diventava media, agenzia e imprenditore!).

Voglia di protagonismo del pubblico, web 2.0 e politica di engagement della marca hanno, infine, promosso sempre più video e visual creati dai consumatori stessi, da semplice partecipazione all’attività della marca a creazione di commercial, annunci, eventi pubblicitari in sostituzione della campagna ideata dalla marca e i propri consulenti tradizionali. Ricordiamo alcuni casi che hanno lasciato traccia su YouTube.

Le patatine Dorito, Crash the Superbowl , che premiò il miglior spot fatto dal pubblico (più di 1.000 partecipanti neo-creativi) mettendolo in onda nella ‘cerimonia media’ del Superbowl 2007. 

Pepsi: la sua campagna Pepsi Generation (aggiornata in next generation) unisce al classico posizionamento attraverso la rappresentazione di life style e atteggiamenti con testimonial come Britney Spear (You have got a lot to live, Pepsi’s got a lot to give) azioni multimediali in cui richiede la creatività del pubblico, alla rap-presentazione si unisce l’azione. Ad esempio, il manifesto Pepsi che, in Times Square (aprile 2007), riportava il miglior design creato dai propri consumatori per la lattina di cola (Pepsi wants you to be their next Times Square billboard creator). Oppure (gennaio 2010) The Pepsi refresh project, la marca si unisce al coro post Copenhagen (con il fallimento del summit del 2009 per l’ambiente: non fu una Hopenhagen) e finanzia ogni mese le migliori idee per l’ambiente, a 360 gradi, sottoposte a una giuria (Every can refreshes the world). 

Citiamo infine il caso Jeep e il suv Patriot (The Patriot Factor, 2007), i valori del modello sono la libertà, l’avventura, la destrezza e l’autenticità. Il pubblico è ancora quello giovane (y generation). Sfruttando il successo dei super eroi e dei fumetti (ampliati dai videogames anche on line), Jeep si allea con Marvell Comics, inventa quattro personaggi (uno per ognuno dei valori di marca), inizia on line una storia a fumetti e la lascia incompleta: dopo le prime tavole, i baloon sono vuoti e ben presto mancano anche i disegni, il pubblico è invitato a completare tutta una storia con i quattro eroi e la loro Patriot.

Potremmo aggiungere che, attraverso YouTube, il pubblico si impossessa dei brand (ad esempio il gioco esplosivo che si ottiene mischiando Pepsi Cola e Mentos) e diventa creativo, sceneggiatore e regista in un istante (come scrittore con un blog o citizen journalist con il cellulare). 

Un crescendo di offerta ‘creativa’ sempre più open source, da off line a on line, sino a fenomeni come Zooppa (People powered brand Energy) o BootB (Brand out of the Box) come probabile estremi epigoni. Da un lato migliaia di creativi, da tutto il mondo, in cerca di occasioni e visibilità e dall’altro un utente che pubblica un succinto brief per il proprio progetto comunicazionale (a 360 gradi) precisando la fee che è disposto a riconoscere per l’idea che sceglierà. Il vantaggio economico e di tempo è notevole come anche il potenziale enorme del power of the crowd. Ma la qualità?

Il crowdsourcing ha il suo valore nel numero e nella qualità sempre più elevati di in-dividui che entrano a far parte della crowd. Facciamo alcuni esempi. Le voci dell’enciclopedia Wikipedia valgono quanto i contributi della crowd che le scrivono, le approfondiscono, le correggono e le aggiornano. C’è da sperare in persone di cultura e specialisti di-sposti a prestare il proprio tempo on line o, più correttamente, da rassegnarsi a una dignitosa e comodissima esposizione di fredde informazioni, di interpretazioni e critiche di mezza cultura (che verrà ampliata).
 
Il portale Instructables
si definisce come la più completa fonte di informazioni sul HowTo e il DoItYourself. Ad esempio, tutto su come aprire un ristorante e gestirlo, sino agli acquisti sul mercato e le ricette. Chiunque, e sono tanti e bravi, può diventare un pro member, ma non troveremo mai la qualità anche didattica del canale Sky Gambero Rosso e dei suoi chef, a loro volta superati dal corso di cucina vegetariana di una buona scuola di cucina.

Agli interrogativi quindi anche sui pro member di BootB, aggiungiamo alcune consi-derazioni che trovano un’unica origine: la relazione. Continuiamo a sostenere l’importanza della disciplina, della strategia. You can really fly when you know where to go, scrivevano ad esempio i maestri della Young&Rubicam. Sapere ‘dove si va per volare’ significa dire avere una relazione profonda e necessariamente lunga con la marca per la quale si vuole costruire il discorso. Non esistono scorciatoie. L’agenzia deve poter assicurare al creativo questa conoscenza e sensibilità; non crediamo peraltro al cliente illuminato o al manager che ritiene di poter condurre direttamente un gruppo creativo. Da un lato, la soluzione a un problema si trova al di fuori del sistema che lo ha prodotto e, dall’altro, la creatività nasce da condizioni ambientali ben lontane da quelle efficientistiche aziendali. 

La logica del mercato parallelo (crowdsourcing compreso) è al contrario per definizione occasionale, episodica nel complesso e articolato discorso di marca e presuppone un management aziendale sicuro, conscio dell’articolazione che dovrà condurre, non soggetto a pressioni e disposto al cambiamento. Condizioni, lo ripetiamo, rare.

Osserviamo infine un paradosso. L’avvento del digitale ha ampliato, se non fatto na-scere, la possibilità di dialogo con l’utente, un dialogo che non è solo un’opportunità ma anche una condicio sine qua non. Inutile ribadire l’importanza dell’ascolto, riteniamo che il flusso ‘ipodermico’ emittente>codifica>media>decodifica ricevente debba oggi essere ribaltato. La comunicazione parte dal ricevente con l’emittente (l’azienda, il creativo) in ascolto della marca e del suo potenziale consumatore. Paradossale quindi che il crowdsourcing applicato alla creatività non preveda alcun dialogo ma solo una burocratica relazione impersonale azienda>creativo nella peggior tradizione di certe gare condotte da terzi o da enti statali (bando e proposta in busta chiusa). La negazione della realtà contemporanea della comunicazione.

Il brand è così definitivamente in e non out of the box. In realtà il popolo dei creativi on line potrebbe avere per la marca un’utilità enorme nel portare apertura, stimoli al cambiamento con un aggiornamento che potrebbe mancare anche all’agenzia ideale, la più disciplinata e la più creativa. Potrebbe portare alla pubblicità mainstream delle agenzie quello che i midnight moovies hanno portato al cinema mainstream delle major. Seguitemi in questa affascinante carrellata che auspica una midnight advertising.

La definizione midnight movie indica sia il B movie (film di serie b, a basso costo, di scarso spessore culturale, spesso con sequenze discutibili da giustificarne la programmazione principalmente televisiva dopo la mezzanotte) che il cult movie che, tra la fine degli anni ’60 e la metà del decennio successivo, hanno avuto un enorme successo attraverso canali alternativi a quelli dei mainstream movie. Le proiezioni avvenivano, almeno inizialmente, nei college campus o in alcune rare sale, dopo la mezzanotte. Ricordiamo l’Elgin di N.Y. in 8th Avenue e il Nuart di L.A. in Santa Monica Boulevard. Poca o nulla pubblicità, qualche articolo su riviste off come il Village Voice, molta comunicazione bocca-orecchio richiamavano, anche per diversi anni, crescenti numeri di persone molto partecipative alle provocazioni degli spettacoli, sullo sfondo del puro divertimento anticonvenzionale, le tematiche erano molte e coraggiose in rappresentanza di una controcultura altrimenti ignorata. Vediamone una breve rassegna: sono molti e dovrebbero tutti far parte del background di un creativo.

Il pacifismo contro la guerra in Vietnam e l’antirazzismo (il contemporaneo assassinio di Martin Luther King) facevano da sfondo all’horror Night of the living dead con il tragico eroe afroamericano Jones (G.A. Romero, 1968). Le allegorie e le surreali violenze di El Topo (A. Jodorowsky, 1970) rappresentavano la ricerca del senso della vita. Reefer Madness (1971) era lo sfruttamento ironico di un lungometraggio nato come propaganda - enfatica, minacciosa, borghese - anti cannabis nel 1936 a fianco della ostinata e perdente battaglia (Marijuana Tax Act) di H.J. Anslinger contro questa dipendenza. L’obesa e oscena drag queen Lady Divine era la protagonista di Multiple Maniacs e di Pink Flamingos (J. Waters, 1970, 1972) così perversa, provocatoria, stomachevole da essere definita the filthiest person alive (lei aggiunse: actress too). Il ruolo del rivoltoso Ivanhoe, appunto eroe fra crimine e ideologia, era recitato dal cantante di reggae giamaicano J. Cliff in The Harder They Come (P. Henzell, 1973): You can get it if you really want it ne era la canzone manifesto (il personaggio ci ricorda irresistibilmente quello recitato da Belmondo dieci anni prima in Á bout de souffle di Godard). Il rock e lo sberleffo alla convenzione borghese della normalità erano il RH Factor di successo per The Rocky Horror Picture Show (J. Sharman, 1975): sono ancora ben vividi personaggi come Riff Raff - stupendo ambiguo tuttofare recitato dallo stesso autore dell’originale pièce teatrale, R. O’Brian - o canzoni come I can make you a man e Don’t dream it, be it. Concludiamo con la ‘mente che cancella’, Eraserhead (1977) di D. Linch che lo definì un ‘sogno di avvenimenti oscuri e pericolosi’.

Riusciamo a indicare qualche esempio di quanto utile potrebbe essere il crowdsourcing per le marche? Sarebbe facile prendere spunto dai settori (come la moda) che hanno nell’anomalia, nel paradosso, nella cultura off, la loro ragione di esistere e il terreno per differenziarsi.

Ad esempio l’italiana Diesel con la sua campagna 2010 Be Stupid creata dall’agenzia Anomaly (che sostiene ‘My biggest competitor today is a person with an idea’). L’agenzia ripercorre l’elogio della ‘follia’ piuttosto che la necessità del paradosso o della disruption. E’ doveroso citare chi – con più coraggio - ha preceduto Diesel in questo territorio valoriale, Alfa Romeo (per il suo modello 159 nel 2006) ma soprattutto Apple con la sua campagna degli ultimi anni ’90, Think Different testimoniata da personaggi ‘folli’. Albert Einstein, Bob Dylan, Martin Luther King, Jr., Richard Branson, John Lennon, R. Buckminster Fuller, Thomas Edison, Muhammad Ali, Ted Turner, Maria Callas, Mahatma Gandhi, Amelia Earhart, Alfred Hitchcock, Martha Graham, Jim Henson, Frank Lloyd Wright, Picasso e Dr. Sun Yat-sen. Come non ricordare inoltre la conclusione del discorso di Steve Jobs del 2005 alla Stanford University, ‘Stay hungry, stay foolish!’.

Citiamo invece tre commercials indicati dall’autorevole rivista inglese Campaign (‘Advertising 2000/2009: the decade of change’ 11 dicembre 2009) come quelli più innovativi, belli e iconici del primo decennio del nuovo secolo (un decennio pieno di cambiamenti e di crisi, anni che Campaign definisce con humour i noughties). I tre commercials sono Gorilla di Cadbury , Balls di Sony Bravia , e Cog di Honda . Esempi che vengono dalla cultura del decennio (dall’arte visiva, dallo spettacolo) così fuori da ogni schema, da ogni scuola da essere ben difficilmente creati da una major tradizionale della comunicazione per tre brand leader e così mainstream. Una major come Ogilvy può ad esempio creare - con molte difficoltà - per Unilever la campagna Dove Real Beauty http://www.youmark.it/article/1325, rivoluzionaria ma all’interno del modus operandi classico, il pensiero laterale e il coraggio delle agenzie Fallon (Gorilla e Balls) e Wieden Kennedy (Cog) è così sorprendente che sembrano creatività nate da un terreno libero e in qualche modo incosciente, come appunto quello a cui dà spazio il crowdsourcing. Parliamo del primo.

Quando Cadbury UK (con la sede inglese dell’agenzia Fallon) ha nel 2007 voluto il video Gorilla ha secondo noi non solo prodotto un pezzo di grande originalità ma anche indicato una strada sino allora impensabile per un mainstream brand. Rompere con il passato, ‘ingaggiare’ il pubblico, dare il piacere e il divertimento puro che ha il concedersi una tavoletta di cioccolato con (il claim) a glass and a half full of joy, di latte. L’esecuzione è astratta con lo sfondo colore blu lilla del brand come unico brand identifier.

Forse, un esempio di midnight advertising, certamente uno spot cult da studiare, premiato ovunque sino al più prestigioso Grand Prix di Cannes nel 2008. Un’idea che ha saputo essere neutral, dall’on line (dove è iniziata la programmazione come video virale: 500.000 page views nella prima settimana) alla tv, cinema ma anche stampa, manifesti, promozioni, attività pro-sociali e sponsorship sportive (ad esempio, per la finale della world cup di rugby giocata dall’Inghilterra in Sud Africa, la gran cassa della batteria del gorilla aveva la Union Jack con la scritta Bring It Home!).

Ovviamente Gorilla ha avuto i suoi spoof su YouTube. Il più clamoroso è stato quello di Wonderbra con two cups full of joy. Al posto dell’enorme scimmia ecco una bella batterista, seminuda con il reggiseno push-up. Gorilla è anche diventato un personaggio mass media con Bollo in una serie tv inglese. Cadbury ha battuto la strada dei sequel, con la costante della musica rock famosa e del claim. Interessante l’episodio Dancing Eyebrows.

Ecco, il creativo della crowd on line (ad esempio via BootB) potrebbe avere questa funzione eccellente invece di clonare in grande numero il tipo di lavoro mainstream in genere prodotto dal mercato parallelo della creatività il che, temiamo, sarà lo standard delle idee di questo nuovo mercato parallelo

Come detto all’inizio, le agenzie potrebbero adottare un comportamento più aperto atto a sfruttare la ‘saggezza’ della folla. Il Barberian Group (agenzia multi specialistica, Palmer B. 2008, ‘Why advertising needs a Facebook’, in Adweek, 18 febbraio), in alcuni momenti chiave del processo, considera la sua intera struttura come un unico reparto creativo. Il principio è che l’intelligenza, il talento di ognuno sono diversi da quelli della persona accanto. Viene spedito via email un brief a tutti e viene sollecitato un feedback con il primo pensiero, la prima idea istintiva che è, da una pura prospettiva di ispirazione, la migliore. Anche qui i lettori potranno ricordare esperienze simili precedenti (ad esempio l’agenzia Red Cell vendeva il pensiero di tutti i suoi migliori professionisti riuniti telematicamente in un continuo conclave). Passare dal principio al comportamento è probabilmente ora una condicio sine qua non.






 

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