Giampaolo Fabris: il consumo laico. Good value, not for money, but for me
12/10/2009
Che detto alla nostra maniera suona, spendere bene, più che spendere poco. Richiamando al senso della più attuale interpretazione del low cost, che tutto è meno che pura tattica di prezzo, come invece molte delle aziende italiane sembrano capire. Dimenticando di entrare nel senso strategico di questo post crisi. Che è momento di transizione, verso una nuova era. Nuovi modi di produzione e tecnologie. Ancora non profondamente sfruttate. Con il gap tra opportunità di internet e suo utilizzo a farsi emblema del ritardo. Ne è più che convinto Giampaolo Fabris, professore ordinario di Sociologia dei Consumi Università San Raffaele, intervistato da youmark in occasione dell’incontro organizzato da Microsoft, lo scorso venerdì a Milano, per parlare di società, tecnologia e nuove identità di consumo. Insomma, di cosa sia e voglia il consumatore d'oggi.
Autenticità, intesità, multi experiencing, approfondimento, cultura, etica, ‘io sono’, genuinità, saper fare, polisensoriale, responsabilità, durata, etica, societing, consapevolezza. Sono le parole del post crisi. E già qui l’equivoco scappa. Ossia di accomunare gli avvenimenti italiani alle conseguenze del grande sboom dei sub prime, quando invece le cause sono da ricercarsi nel tempo. Probabilmente già prima del crollo delle Torri Gemelle, sino allo scoppio della first era della new economy. Ma non solo. Altrettanto depistante la visione ‘cattocomunista’ che tanto piace ai titoli dei giornali. Con il ripescaggio del logoro neopauperismo che aveva caratterizzato l’austerity di ieri, richiamando a valori di semplicità, austerità, sobrietà. Perché i fatti sono noti (le famiglie sono più povere. Il 70% di loro ha già diminuito le proprie spese, e tra chi no il 70% dichiara di doverlo fare nei prossimi mesi), ma i risultati no. Con le aziende a buttarsi soprattutto su tattiche di prezzo, abdicando a un marketing aggressivo il compito di catturare un cliente che sta andando in tutt’altra direzione.
E internet c’entra. Basti pensare a come la maggior parte dei siti aziendali continui a essere monodirezionale quando ben l’80% dei consumatori afferma che vorrebbe saperne di più. Insomma, alle aziende ancora non piace raccontare effettivamente quello che sono e fanno, dialogare. Perdendo di vista il loro ruolo. Che è cambiato. Oggi non ci sono più bisogni, ma desideri, e la soddisfazione è attraverso esperienze, non semplicemente acquisto. Dilagante la nuova definizione di 'consumattore', senza più dubbi su chi è già soggetto emergente, nonostante in troppi continuino a riferirsi a un popolo di pecore cui predicare dall’alto. Che non esiste più.
In 15 anni, le persone che scelgono sempre la stessa marca sono passate dal 50% al 29%. Nessun brand, nemmeno il più autorevole, può ancora contare su una rendita di posizione. Grazie al web la gente si informa, ricerca, spesso ne sà più del personale di vendita. E le aziende, anziché investire per vivisezionare il consumatore con ricerche di mercato sempre più strette, dovrebbero imparare a farlo per apprendere.
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