Meno budget, ma più investitori. La nostra pubblicità chiuderà a -11%
12/06/2009
Per la prima volta nella storia delle ricerche, non si può più fare affidamento sui dati storici per pronosticare il futuro. Ma non è la sola evidenza emersa, ieri a Milano, dalla relazione di Paolo Duranti, managing director Nielsen Southern Europe, che ha raccontato i dati dello 'Scenario Internazionale della Pubblicità' 2009, consueto appuntamento annuale a firma IAA, International Advertising Association Italy Chapter.
Altrettanto forti i numeri. In Italia (ma nel mondo si distingue solo l’Asia, ancora in crescita, seppur rallentata) proseguono nel segno meno (il 2008 aveva chiuso a -2,7% , dato identico a quello Usa), eccezione fatta per l’atteso +1% di novembre che, non a caso, posiziona la previsione di chiusura a -11%, contro il – 18% già certificato relativamente ai primi quattro mesi. Tutto ciò, accentrando l’attenzione sull’efficacia degli investimenti. Tanto che, nonostante il nuovo sia d’obbligo nei pensieri d’azienda, i budget continuano a prediligere il tradizionale per vendere ‘allo scaffale’ qui e ora. In una bilancia che pro media di sempre pesa l’89% delle preferenze, aumentando il tempo dedicato alla tv.
Con l’obbligo di ricordare i’dolori’ della stampa (in Italia nei primi quattro mesi dell’anno a-27% i quotidiani, -30% la periodica, con previsioni di chiusura 2009 rispettivamente a -20% e -25%) . Che ai problemi della riconversione dettata dal digitale si è trovata ad aggiungere quelli della crisi. Senza peraltro mostrare all’orizzonte soluzioni certe. Tanto che oggi qualsiasi ragionamento stereotipato va al bando. No dunque a frasi del tipo ‘la tv generalista è morta’, ‘addio alle rotative’, ‘i contenuti in rete devono essere free’. Nel senso che nessuno ha trovato la ricetta del domani.
Insomma, una situazione che anche a voler essere ottimisti non lascia molto spazio all’immaginazione. Nel senso che soluzioni facili non ci sono per nessuno. Qualitative e quantitative. E soprattutto che tutto è completamente nuovo rispetto al passato, non valendo più qualsiasi metodologia di statistica comparazione. Disegnando un mondo che si assomiglia per scarsa fiducia dei consumatori e per prudenza delle aziende. Ovviamente chiamando fuori dalla massa India e Cina, ancora in crescita. Seppur rallentata. Come dimostra il primo andamento negativo del settore auto cinese, nei primi mesi del 2009 a quota – 22%. Sottolineando quanto in India il fermento del’industria dei media faccia da traino, proliferando la nascita di nuovi canali a costruzione di un mercato domestico.
Internet, ovviamente, fa caso a sé. Ed è l’unico media ancora in positivo (da noi + 7%, contro la crescita a doppia cifra che ci aveva abituato negli ultimi anni, ma che è normale non avrebbero potuto tenere), con il fenomeno delle community a dirsi planetario. Non mostrando segni di cedimento. Aprendo, comunque, l’incognita su come si comporteranno in rete i nuovi adepti che via via verranno, garantendo a tutti l’accesso alla tecnologia abilitante.
Nel nostro paese, poi, a emergere è anche la lenta ma costante crescita del numero di investitori. Al punto da aiutare la diminuzione dei budget impegnati da quelli di sempre. Con il settore degli enti pubblici (ma in realtà non si tratta dell’attesa massiccia scesa in campo della PA, quanto di partiti politici, precisando che la rilevazione si è riferita al primo quadrimestre 2009, dunque pre elezioni) positivo, in controtendenza su tutti.
Così come altrettanto colpisce che il 75% delle promozioni sia di prezzo. Perché se da un lato è comprensibile uno sforzo direttamente teso a influire sui volumi di vendita, dall’altro sorge il dubbio di una miopia collettiva. Sicuramente un rischio, perché senza visione e strategia non c’è lungo periodo, dunque futuro. E il consiglio è sì di presidiare il sell out, ma senza dimenticare l’equity.
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