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Giampaolo Fabris: il marketing del futuro è la comunicazione

12/05/2009

Questa la sintesi dell’attacco frontale alla disciplina da parte di Giampaolo Fabris, professore ordinario di sociologia dei consumi all'Università San Raffaele e presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione nella facoltà di Psicologia. Andando ancora oltre il suo discorso al Summit Upa, perché ieri, in occasione del secondo appuntamento con gli incontri milanesi 'Meeting the Change' a firma AssoComunicazione (il prossimo del 18 giugno sarà con i fondatori di Trendwatching), ha chiarito come l’accettazione della perdita di controllo debba passare attraverso un know how di comunicazione. Insomma, occorre che brand e product manager ne conoscano a fondo strumenti e linguaggi. Perché solo riappropriandosi delle molteplici lingue della disaggregazione sociale potranno creare relazioni con il consumatore. Anche con le più piccole nicchie della cosiddetta ‘coda lunga’. Consapevoli che tagliare i budget è follia. 

Il che potrebbe suonare come uno scontato tributo ad AssoComunicazione, prontamente negato da Fabris, che crede nella comunicazione investimento, non spesa. Oltretutto spiegando quanto la leva prezzo abbia in sé pericoli evidenti. In primo luogo nel limite dei costi strutturali, per cui oltre una certa soglia nessuno può più scendere. In secondo, nella nuova interpretazione di low cost, che nel dna ha il concetto di valore. Perché trattasi di un business model efficiente, con la contropartita di un consumatore per cui il prezzo non è tutto, potendo fare affidamento sull’intelligenza acquisita per discernere. Sino a capire come non sempre alto di gamma è sinonimo di qualità e che la ricerca della massima qualità non è sempre necessaria. 

Così, la comunicazione si prende la sua rivincita. Nei confronti del marketing, in preda alla schizofrenia da manager, arroccato nelle evidenze di un passato che fu e che non può più valere. Nemmeno quando la crisi passa. Perché il consumatore non è più lo stesso, le imprese non sono più le stesse e neppure il capitalismo. Con il Pil che non misura più nulla, e macro e micro economia che perdono il loro rapporto con il sociale.
 
Al punto da considerare il marketing affetto da progenia, che causa invecchiamento repentino, fino alla morte. Non è il caso però di augurarsela. Perché trattasi del tramite tra l’impresa e il consumo. Meglio auspicare per la trasformazione. Mirando all’ascolto, ma bandendo le ricerche. Semplicemente partendo dall’assunto che il consumatore non esiste. Il consumatore è ognuno di noi, con la distinzione tra produzione e consumo a farsi sempre più labile. Cancellando le regole. Persino la storica, quella sul ciclo di vita dei prodotti. Che marche come Coca Cola, Lipton, Colgate, Gilette, Nobisco, per citarne alcune, smentiscono ogni giorno. Ricordando che il nuovo passa per il digitale, continuando a sperimentare, senza scoraggiarsi se i risultati non sono ancora così tangibili,

 

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